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Salvare la chiesa dal sistema di potere vaticano

“La Chiesa perda i denari, ma non perda se stessa. Perché quanto è accaduto può avvicinarci al Vangelo e insegnare alla Chiesa a non puntare sui tesori della terra”. Così il Card. Martini. “Le domande sono di portata radicale. Perché il papa deve essere capo di stato? Perché il Vaticano deve avere una banca? Perché il successore del pescatore Pietro deve essere al centro di un sistema di potere? In Vaticano sono ore drammatiche”. E’ il domenicano Alessandro Cortesi ad offrirci una rflessione che scava oltre le drammatiche notizie di queste ore. (www.parolacresceva)

In riferimento alle vicende che hanno scosso in questi giorni il Vaticano vorrei riprendere due articoli di Luigi Sandri, vaticanista e già inviato dell’Ansa, che non si fermano al gossip da romanzo giallo e che ricostruiscono con ordine e chiarezza la situazione. Mi sembra che in essi siano evidenziati elementi importanti per dare un’interpretazione di eventi che sconcertano soprattutto tutti coloro che vivono l’esperienza della fede e la vita ecclesiale nel desiderio di seguire Gesù e di partecipare ad una comunione di persone che imparano ogni giorno a seguirlo, ben lontani dal pensare la chiesa come una struttura di potere e di finanza che appare ben lontana dallo spirito evangelico.

Mi sembra importante la breve nota del card. Martini apparsa sul Corriere della Sera del 27 maggio: “La Chiesa, dopo le notizie di cronaca di queste ore che parlano del «corvo» in Vaticano, deve con urgenza recuperare la fiducia dei fedeli. (…) Lo scandalo ha sempre una natura triplice: c’è chi lo riceve, chi lo fa, chi ne approfitta; ma la Chiesa può guardare oltre e leggere in senso positivo quanto è emerso. La Chiesa perda i denari, ma non perda se stessa. Perché quanto è accaduto può avvicinarci al Vangelo e insegnare alla Chiesa a non puntare sui tesori della terra. (Matteo 6, 19-21)”.

Queste parole possono essere accostate alle osservazioni di Aldo Valli apparse su Europa del 29 maggio:

“Le domande sono di portata radicale. Perché il papa deve essere capo di stato? Perché il Vaticano deve avere una banca? Perché il successore del pescatore Pietro deve essere al centro di un sistema di potere? In Vaticano sono ore drammatiche. Mentre il povero Paoletto è in carcere, pesce piccolo catturato senza troppe difficoltà, diversi schieramenti si affrontano e si osservano. Perché anche tra i corvi non tutti sono puri di cuore e c’è chi vuole utilizzare la situazione per altre trame di potere. Finora la Santa sede sta reagendo nel modo più sbagliato. Con i gendarmi e il silenzio. Lo si è visto domenica in piazza San Pietro. Quando è arrivata la marcia per Emanuela Orlandi, persone insospettabili si aggiravano per osservare e fotografare. Come se i partecipanti alla manifestazione fossero malfattori da schedare. E il papa, che avrebbe potuto dire una parola come padre su una sua giovane cittadina scomparsa nel nulla e una famiglia distrutta dal dolore, è rimasto zitto nel giorno dedicato allo Spirito santo”.

Hans Küng in un’intervista a Repubblica del 28 maggio, offre una lettura da cui emerge come questi eventi siano sintomi di una crisi profonda dell’istituzione ecclesiale che esigerebbe una riforma della Chiesa da lui prospettata e presentata in un libro di recente uscito anche in Italia:

“Tutti questi eventi mi appaiono come sintomi della crisi di un sistema intero nel suo complesso. Io parlo del sistema della curia romana, del sistema romano delle cui caratteristiche negative soffre la Chiesa cattolica tutta, nel mondo intero. E naturalmente questi eventi contemporanei danno l  ́impressione di una incapacità papale. Di avere a che fare con un pontefice incapace. Su questo ho appena scritto un libro, Salviamo la Chiesa, in Italia sta per uscire (è già pubblicato da Rizzoli ndr.). Quel che mi sta a cuore è approfondire la problematica dell ́indispensabile riforma della Chiesa”.

Qui di seguito due articoli di Luigi Sandri pubblicati in ‘Trentino’

“Guerra aperta nei gangli economico-finanziari della Santa Sede. Infatti, improvvisamente, ieri sera il professore Ettore Gotti Tedeschi è stato “sfiduciato” dal Consiglio di sovraintendenza dello Ior (l’Istituto per le Opere di religione, la “banca” vaticana), di cui era presidente. Interpellato dalle agenzie in merito alla clamorosa decisione, l’interessato ha detto: “Preferisco non dire nulla, altrimenti dovrei dire solo brutte parole”.

E’ troppo presto per conoscere le reali motivazioni di questo evento inaspettato. Si può dire, comunque, che esso si inquadra nel clima di aspri contrasti, ai vertici vaticani, sul come gestire le attività economiche e finanziarie dello Stato della Città del Vaticano, e della Santa Sede, e sul come rendere operative le norme di trasparenza annunciate ma, secondo molti, non totalmente attuate. E, sullo sfondo, probabilmente vi è un contrasto tra lo Ior e la Segreteria di Stato, guidata dal cardinale Tarcisio Bertone, classe 1934, o, più probabilmente, tra alcuni dirigenti della “banca” vaticana” e alcuni personaggi di primo piano delle gerarchie ecclesiastiche, o, ancora, per laceranti dissidi interni sia al Consiglio di sovraintendenza che alla Commissione cardinalizia di vigilanza, presieduta da Bertone.

Si riapre così una questione che la Santa Sede aveva sperato di chiudere quando, nel 2009, aveva scelto – e la decisione era stata soprattutto del Segretario di Stato – Gotti Tedeschi alla guida, diciamo così, dello Ior. Questo anomalo Istituto – più che una banca, infatti, è una fondazione – fu creato da Pio XII nel 1942, riordinando una materia che per certi aspetti risaliva a Leone XIII, a fine Ottocento, e per altri a Pio XI. Ignoto alla gente comune, lo Ior divenne famoso in Italia quando, nel 1982, fu accusato di essere implicato nel crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, il banchiere che, fin che visse – nel giugno dell’82 fu “suicidato” – sempre affermò che l’indebitamento del Banco era dovuto al fatto che lo Ior, il cui presidente allora era monsignor Paul Marcinkus, gli doveva ingentissime somme; “dovere” di restituzione sempre negato dalla Santa Sede. Ma Calvi aveva degli intrecci affaristici con la “banda della Magliana” nella quale stava emergendo Enrico De Pedis, detto Renatino; il gruppo voleva dunque che Marcinkus “restituisse” i denari e, non ottenendoli, nel giugno del 1983 avrebbe (il condizionale è d’obbligo: la magistratura sta ancora accertando, e le testimonianze in merito sono contraddittorie) rapito Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente vaticano, per ricattare lo Ior e avere i pretesi denari.

Questo “giallo” è tornato di attualità perché il 14 maggio scorso le autorità italiane hanno aperto la tomba di De Pedis che si trovava nella cripta della basilica romana di Sant’Apollinare (e a tutt’oggi ci si domanda come poté il cardinale Ugo Poletti, allora vicario di Roma, permettere che il boss di una organizzazione malavitosa, assassinato nel 1990, fosse sepolto in una chiesa), e ciò al fine di verificare se si potesse sciogliere l’enigma, finora irrisolto, della fine della povera Emanuela.

Ma, tornando agli anni Ottanta, Marcinkus, per decisione delle autorità vaticane, non poté essere interrogato dalle autorità italiane che indagavano sul crack dell’Ambrosiano e sulle eventuali responsabilità dello Ior nella vicenda. Una politica “opaca” che sollevò allora molte perplessità per una decisione infine presa da papa Wojtyla.

Giovanni Paolo II, comunque, nel 1990 diede una nuova configurazione allo Ior, nella speranza – sottesa – che vicende come quelle legate a Marcinkus non si ripetessero mai più. Pare invece che, anche dopo la “riforma”, lo Ior abbia facilitato l’arrivo… dall’Italia, di importanti somme di denaro di assai dubbia provenienza. Chiamando allo Ior Gotti Tedeschi il Vaticano pensava di avere finalmente dato una svolta; ma, se così fu, e così (dall’esterno) sembrava essere, ci si domanda che cosa significhi l’affermazione del comunicato vaticano di ieri sera: quello al presidente è stato “un voto di sfiducia, per non avere egli svolto varie funzioni di primaria importanza per il suo ufficio”. Nei prossimi giorni ne sapremo di più. E’ certo, comunque, che questa vicenda è un nuovo tassello che avvelena il clima del pontificato in atto”.

Luigi Sandri in “Trentino” – 25 maggio 2012