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Qatar: il paradiso terrestre, secondo il Tg2

12/02/2012

(o su come ti presento bene un dittatore ‘amico’)

Guardo di rado il Tg2 ma dovrei farlo più spesso. Non solo per la conduttrice che ai miei occhi appare bella come mi immagino una delle vergini che se fossi un martire musulmano potrei avere in compenso.

Proprio grazie al Tg2, il weekend scorso ho scoperto il paradiso terrestre: il Qatar. Dai giornalisti ben informati, vengo a sapere che l’Emiro ha comprato un quadro ‘I giocatori di carte’, che ha il record per essere il più pagato al mondo, e costruirà un museo appositamente per esporlo. Inoltre l’Emiro ha pure comprato il PSG squadra allenata da Ancelotti e prima nel campionato francese.

Poco tempo fa hanno pure organizzato una corsa ciclistica internazionale. E poi tutti sorridono felici di questi eventi e pare proprio siano anche dei benefattori. Altro che l’Italia con i problemi di bilancio.

Ma ripensandoci bene il Qatar non è quel paese che ha mandato truppe di terra in Libia prima dell’intervento Nato e della risoluzione ONU. Non è quel paese che contribuisce a ristabilire l’ordine in quei paesi arabi con il suo esercito professionale. E poi Al Jazeera ha sede là o mi sbaglio? Quella emittente che ha contribuito a validare informazioni nefande su Gheddafi che poi si sono rivelate false. E infine il principe ereditario non ha chiesto a gran voce l’intervento armato in Siria per salvare la popolazione inerme? (NB: in Siria la popolazione vuole tutto meno che un intervento armato della Nato.)

Cerco allora Qatar su Wikipedia. Trovo che è un paese dalla ricchezza immensa ma non ci sono né elezioni né istituzioni democratiche. Si sfruttano i lavoratori esteri attratti dal miraggio di buone retribuzioni. Non esistono sindacati.  C’è pure la pena di morte.

Ci sono però anche lati inaspettati: le donne possono guidare, al contrario che in Arabia Saudita. Basta che il loro ‘male guardian’ (custode maschio) dia loro il permesso.

Ma allora è proprio vero che è un paradiso terrestre. Mi manca solo di essere un membro della famiglia reale.

(fd)

 

Per ulteriori info riporto un post di Alessandro Marescotti:

Guerre in Libia e Siria. Occhio al Qatar la faccia più moderna della conservatrice Arabia Saudita

Ciao a tutti, sono stato recentemente a Barcellona e sulla maglietta della fortissima squadra cittadina (il suo stadio è il più grande d’Europa) campeggia da quest’anno un nuovo sponsor: Qatar Foundation. Fino all’anno scorso sulla maglia rosso-blu del Barcellona c’era il simbolo dell’Unicef. La Qatar Foundation si caratterizza come un’organizzazione no-profit molto attiva anche su Facebook, si veda qua. L’attivismo del Qatar in campo assistenziale, con le sue attività di beneficienza e di lancio dell’immagine, è qualcosa da seguire con attenzione. Ad esempio sono sorte attività di supporto ai palestinesi, si veda ad esempio questo progetto agricolo da 12 milioni di dollari della Qatar Charity. E anche nel caso della Freedom Flottilla emerge l’interessamento e l’ospitalità del Qatar “no-profit”, ossia di Qatar Charity. Il Qatar sostiene in tal modo la “sicurezza alimentare” dei palestinesi. Il tutto è presentato come un’occasione per creare lavoro w sostenere la causa di questo popolo oppresso (non minore impegno lo dimostra il premier turco a schierarsi in questa direzione). Il Qatar – grazie a questa attività di pubbliche relazioni e alle sue televisioni, come Al-Jazeera e Al-Arabya – sta plasmando una sua immagine moderna e dinamica, benché sia un alleato di ferro dell’Arabia Saudita che reprime i diritti delle donne, fino a uccidere quelle accusate di “stregoneria”. Lo scorso agosto una donna saudita è stata decapitata con l’accusa di stregoneria, ma la notizia è passata in sordina perché i decapitatori sono nostri alleati, si veda qui. Dato che l’Arabia Saudita non è presentabile per promuovere guerre per i diritti umani, il Qatar è lo stato che – con le sue risorse mediatiche e militari (è grande cliente di armi americane) – promuove le guerre che vorrebbe fare l’Arabia Saudita: dalla Libia alla Siria. Cliccando su Qatar, troverete queste due righe che faranno rizzare le orecchie ai più informati e smaliziati nel campo delle politiche internazionali: “RAND Qatar Policy Institute which offers analysis of public policy problems and helps implement long-term solutions for clients across the region”. Quindi Qatar Foundation fa anche questo, oltre ad apparire sulla maglietta del Barcellona. Rand è un think tank conservatore di 1700 persone, forse il più influente del mondo. Fin dal 1948 il Pentagono incaricò questo think tank di studiare i teatri militari. Cosa sia un think tank è ben spiegato qui. C’è scritto ad esempio: “L’esplosione delle tv via cavo e di internet, poi, ha moltiplicato in modo esponenziale la richiesta di “instant expertise”, trasformando sempre di più i think tank in macchine della comunicazione”. Una delle questioni che si pone un think tank geniale è ad esempio: invece di distruggere i pacifisti li possiamo commuovere? Possiamo convincerli che una guerra è giusta? Certamente è fattibile. Si può inondare Internet di immagini che facciano apparire un genocidio (i telefonini e i filmati anonimi sono ottimi) e poi bisogna creare dei centri di attivisti ben organizzati sul web, che appaiano come organizzazioni di base, spontanee, sorte dalla società civile. Il Qatar ha le competenze per fare ottima ed efficace comunicazione, ha tecnologie e competenze. Questa è la sottile e geniale intuizione del Qatar: inserirsi in questo flusso e acquisire potere mediatico sia su Internet sia sulle Tv. Internet e Tv – se sono ben accordati – rilanciando reciprocamente le bufale con effetto sinergico. Per evitare problemi occorre sconfiggere la controinformazione sul web, mettendola nell’angolo. L’appoggio alla causa palestinese da parte delle realtà no-profit quatariote e le immense risorse finanziarie della monarchia qatariota sono state intrecciate. I Qatar ha guardato con grande attenzione al movimento filopalestinese cercando di conquistarne la simpatia. Una parte di tale movimento filopalestinese non è sceso in piazza contro la guerra della Nato in Libia. E non credo che scenderà in piazza se il Qatar deciderà di intervenire in Siria (il Qatar ha auspicato da poco un intervento militare per rovesciare il regime di Damasco e non si registrano grandi reazioni). E cosa è successo conquistando la neutralità di una parte del “movimento”? Ce lo spiega questo sito. E’ proprio in Libia che il Qatar si è conquistato le luci della ribalta dandosi un gran da fare per rovesciare, a suon di dollari e sostegno militare, il regime di Muammar Gheddafi. Il paese nordafricano rappresenta una grande opportunità economica per il Qatar. La Libia produceva 1,6 milioni di barili di petrolio al giorno prima della guerra, quasi il 2 % della produzione mondiale. Inoltre, secondo quanto affermato dalla British Petrolium, la Libia ha sufficienti risorse per sostenere il livello di produzione per i prossimi 77 anni. L’emirato del Golfo ambisce a controllare una parte di questi risorse petrolifere oltreché le esportazioni di gas libico verso l’Europa. La Libia è un potenziale ponte per avvicinarsi alle nazioni europee e a nuovi mercati. Ma c’è di più. I cambi di regime in Tunisia, Egitto e Libia hanno aperto un buco nero geopolitico in Nordafrica. Un vuoto di potere che piace soprattutto all’Arabia Saudita. Nell’ultimo decennio i rapporti tra qatarioti e sauditi non sono stati facili ma recentemente i due Paesi hanno rinsaldato il loro rapporto in nome della volontà di contrastare l’influenza iraniana in tutto il mondo islamico. In quest’ottica il Qatar sarebbe una sorta di faccia più moderna della conservatrice Arabia Saudita capace, però, di fare gli interessi sauditi. Per Rihad, Doha è un partner economico e politico molto ambito da cui farsi rappresentare nei consessi internazionali. Il Qatar e l’Arabia Saudita vogliono accrescere l’influenza wahabita (dottrina che vuole il ritorno all’islam delle origini) in Nordafrica e nel Maghreb. Negli ultimi 25 anni i sauditi hanno finanziato gruppi religiosi un po’ in tutta l’Asia (dai talebani afgani, alle madrasse pakistane) con l’intento di ricavarne in ritorno politico. Il Qatar, cosmopolita e ricchissimo sarebbe, per usare le parole di Foreign Policy, uno strumento efficacissimo per la “rivincita sunnita”. L’ultimo decennio è stato contraddistinto dall’affermarsi dell’influenza sciita nel mondo musulmano. Da Hezbollah in Libano, passando per l’Iraq post-Saddam, fino alla Siria, allato di ferro dell’Iran. Adesso è la Siria di Assad a traballare. Se il regime guidato dalla minoranza alawita (una setta sciita)  dovesse cadere, si frantumerebbe la “mezzaluna sciita”. Significherebbe portare Damasco sotto l’influenza dei paesi sunniti , ripudiando la sua alleanza con l’Iran, e isolando Hezbollah dalla sua base logistica in Siria. È ancora troppo presto per dire se le “primavera araba” porterà la democrazia. Di sicuro ha favorito l’ ascesa delle potenze sunnite. Anche a questo servono i soldi del Qatar”. (Fonte) Credo che non ci sia molto da aggiungere. La politica è oggi immagine e informazione. Capacità di commuovere in guerra magari con bufale che si decifrano dopo giorni, settimane o mesi. E’ il Qatar che ha diffuso la gran parte delle informazioni sulla Libia ieri e sulla Siria oggi. Come gli organismi geneticamente modificati, anche noi siamo modificati fin nella parte più delicata di noi stessi: l’informazione personale. Facciamo le nostre scelte politiche con le informazioni di cui disponiamo. Se le nostre informazioni sono manipolate, se i nostri sentimenti sono artatamente sconvolti da immagini che non siamo in grado di verificare e che ci colpiscono fin nell’intimo del nostro credo morale, allora siamo sotto scacco. E dentro le nostre informazioni – fin dentro le nostre scelte – c’è il Qatar. Con i suoi professionisti della comunicazione, e con l’assistenza dei professionisti di RAND. Alessandro Marescotti (http://www.peacelink.it)