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Cipax – “Cantiere di pace 2011-2012” “I beni comuni nella prospettiva gestionale”

“I BENI COMUNI NELLA PROSPETTIVA GESTIONALE”: questo il titolo della relazione tenuta dal prof. Guido Viale – noto economista, autore di saggi significativi quali: Un mondo usa e getta; Governare i rifiuti; Prove di un mondo diverso; La conversione ecologica –  giovedì 12 gennaio al Cantiere 2011-12 organizzato dal Cipax e altre associazioni sulla tematica de ‘I Beni Comuni, via alla Pace giusta’.

Introdotto da Simona Savini, segretaria del Forum dell’Acqua, Viale ha iniziato avvertendo che i beni comuni non sono una categoria merceologica, né si riducono alle risorse naturali indispensabili alla vita, come l’acqua, l’aria o la biodiversità… Propriamente parlando il bene comune è una risorsa dalla cui fruizione non può essere escluso nessuno, pena la privazione, per la persona esclusa, di una componente essenziale dei suoi diritti di uomo e di cittadino.

Così, nel mondo moderno, -ha proseguito- accanto a risorse che sono condizioni essenziali della vita e della sua riproducibilità, come le già citate acqua e aria, si possono porre prodotti artificiali, come l’accesso all’energia, alla mobilità, ai servizi sanitari, o a manifestazioni delle facoltà superiori dell’uomo come l’informazione, la cultura, l’arte, ecc.

Ma –ha subito precisato- a garanzia di questa non esclusione dalla fruizione devono intervenire forme di gestione del bene incompatibili tanto con la proprietà privata – per lo meno fino alla soglia al di sotto della quale l’accesso al bene è un’esigenza vitale o un diritto irrinunciabile – quanto con la mera proprietà pubblica, intesa come proprietà dello Stato o di una sua articolazione. La quale riproduce, a un livello più alto, tutte le potenzialità di esclusione proprie della proprietà privata. La gestione dei beni comuni deve essere una gestione condivisa: nel senso che tutti i potenziali fruitori possono – non necessariamente devono – partecipare alle decisioni relative al modo in cui il bene viene utilizzato o fruito.

Il prof. Viale ha sottolineato poi che recenti studi, a partire da quello pionieristico de premio Nobel Elinor Ostrom, passando, in Italia, per i nomi di Stefano Rodotà, Ugo Mattei e Alberto Lucarelli, hanno cercato di dare fondamento e consistenza giuridica a questa forma di gestione che esclude o mette in secondo piano la proprietà; e hanno dimostrato che la gestione condivisa di un bene comune è una pratica antica e ben nota in una pluralità di comunità etniche e storiche e che essa  varia nei modi e nelle regole, a seconda del contesto storico sociale e del bene in questione.

Oggi è in atto uno scontro a livello planetario: da una parte l’approccio liberista, che vede nella privatizzazione del controllo e della gestione delle risorse le condizioni irrinunciabili di un loro uso efficiente e produttivo; e dall’altra le varie forme di resistenza a questo “pensiero unico”. Queste ultime grazie a una profonda conversione ecologica  scartano come non decisiva la contrapposizione tra pubblico e privato, e tra Stato e mercato – anche sulla base delle esperienze negative che la mera “nazionalizzazione” o statalizzazione delle risorse e delle attività produttive ha dato di sé: sia nei paesi del blocco comunista a economia pianificata, che in molte esperienza realizzate nel corso del secolo scorso in Occidente – e vedono invece nella riappropriazione condivisa di una serie di risorse e di attività le condizioni essenziali di una gestione democratica tanto del potere che delle attività economiche fondamentali.

Il relatore è infine passato a chiarire i nodi problematici della gestione dei beni comuni, avvertendo che se enunciare i programmi di questa conversione ecologica è abbastanza facile, il difficile è tradurli in pratica, sia perché ciò esige misurarsi con le caratteristiche specifiche di ogni territorio e soprattutto con la composizione sociale, cioè i multiformi attori delle diverse comunità.

La gestione dei beni comuni, l’acqua o l’aria, l’energia o i trasporti pubblici locali, esigono forme di democrazia diretta e partecipativa, ben più complessa della democrazia rappresentativa.

Ma cambiare si può se la conversione ecologica non l’attendiamo dall’alto bella e fatta, ma la costruiamo ogni giorno insieme agli altri con nuovi stili di vita individuali e comunitari.