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Incontro con Antonio Mazzeo su CARA e Ponte sullo Stretto

Il nostro Punto Pace lo scorso 16 dicembre  ha organizzato, insieme ad alcune associazioni della nostra città, un interessante incontro con Antonio Mazzeo, sul centro per richiedenti asilo e migranti di Mineo, località vicina a Ragusa. Di seguito vi invio il testo di due suoi articoli. Il primo su questo argomento e il secondo, in cui analizza una nota critica del capo del Genio Civile di Messina, sulla insostenibilità ambientale ed idrogeologica del Ponte sullo Stretto, inviata recentemente all’Assessorato alle Infrastruttue e alla Mobilit della Regione Siciliana. Antonio Mazzeo , durante la fase della istallazione dei missili, ha trascorso un lungo periodo a Comiso ed è stato a Sarajevo con don Tonino Bello. E’ autore del libro I Padrini del Ponte. Il suo recapito è :3317512255.

Il CARA di Mineo vergogna italiana

 

di Antonio Mazzeo

 

Il villaggio degli aranci di Mineo (Ct), il mega-centro di semidetenzione per richiedenti asilo e migranti, a quasi un anno dalla sua istituzione, testimonia il completo fallimento del modello di “solidarietà” securitaria del governo Berlusconi-Maroni. È il “non luogo” dove si consuma la spersonalizzazione, dove l’ospite-recluso si “sente atopos, fuori posto, né cittadino né straniero, collocato in un luogo bastardo al confine tra l’essere e il non-essere sociale”. Il CARA di Mineo, isolato ed isolante, è “l’antitesi dell’integrazione e mina la sicurezza del territorio animando scontri e tensioni fra comunità”. A sancire l’ennesima bocciatura del centro di “accoglienza” in cui sono stati deportati manu militari quasi duemila cittadini stranieri presenti in Italia da tempi remotissimi, è il rapporto del Comitato territoriale dell’ARCI di Catania consegnato ad una delegazione di europarlamentari in visita ai lager per migranti della Sicilia.

 

“Gli ospiti presenti all’interno del centro di Mineo non hanno alcun rapporto con il territorio sia per la conformazione del luogo, ma soprattutto perché non sono stati predisposti gli strumenti necessari a favorire l’integrazione”, denuncia l’avvocato Francesco Auricchiella, responsabile immigrazione dell’ARCI di Catania. “Essi continuano a vivere ai margini, in uno stato di assoluto isolamento culturale e sociale in aperto dispregio di quanto previsto dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo”.

 

Dalla sua costituzione, il 18 marzo 2011, il CARA ha offerto condizioni di vita “prive di contesto e coesione sociale, scollate dalla propria cultura, disorientate nella selva di leggi e di prassi amministrative del tutto ignote agli ospiti per l’assoluta mancanza di qualsiasi forma di mediazione sociale, culturale e di assistenza legale”, scrive l’ARCI. E quasi nulla è cambiato con l’insediamento dell’ente attuatore, la Provincia di Catania (nominata con ordinanza del Presidente del consiglio il 28 giugno scorso), retta da quel Giuseppe Castiglione che è contestualmente coordinatore regionale del Polo delle libertà e uomo di fiducia dell’ex guardasigilli Angelino Alfano.

 

A Mineo sono state innumerevoli le violazioni dei diritti dei soggetti più vulnerabili, come i minori non accompagnati, le donne vittime di violenza e i nuclei familiari di eritrei, etiopi e somali provenienti dalla Libia, dove sono stati sottoposti a pene inumane e degradanti in diversi centri di detenzione. “Tra queste famiglie c’erano minori nati o vissuti per mesi nelle prigioni libiche”, aggiunge Auricchiella. “Giunti in Italia ed inviati a Mineo, questi soggetti portatori di esigenze particolari, tra cui donne abusate e persone vittime di tortura, non hanno avuto accesso ai servizi di riabilitazione necessari per la rimozione e la rielaborazione dei traumi e delle violenze subiti, quando, invece le direttive dell’Unione europea dispongono che ogni Stato membro deve adoperarsi per attivarli”.

 

Il rapporto ricostruisce alcuni gravi episodi verificatisi nel centro. Come ad esempio il “trasferimento arbitrario”, nei primi quattro giorni di vita della struttura, di circa 500 richiedenti asilo già ospitati in altri CARA del territorio nazionale. “Persone dalle provenienze più diverse, come nigeriani, pakistani, afghani, che avevano già da mesi fatto istanza per la protezione internazionale e che attendevano l’audizione e la decisione sulla loro richiesta, si sono ritrovati, improvvisamente deportati a migliaia di chilometri di distanza, senza la notifica del provvedimento dalle Questure, con la conseguente impossibilità di ricorrere avverso il trasferimento”. Di contro, al CARA di Mineo non sono state inviate le pratiche dei richiedenti asilo affetti da patologie anche gravi o da disturbi psichici, e ciò ha determinato l’interruzione del ciclo di cure avviato nei centri d’origine.

 

In piena violazione del diritto di difesa, i cittadini stranieri sono stati trasferiti in Sicilia senza che venissero previamente informati i loro legali. Alcuni di essi, come ad esempio quelli provenienti dal CARA di Bari-Palese, attendevano il pronunciamento del TAR sui ricorsi avversi la decisione di trasferimento dell’Unità Dublino; altri avevano già presentato opposizione ai dinieghi dello status di rifugiato; altri ancora dovevano essere sentiti in commissione nei giorni in cui subivano il trasferimento coatto. “In molti casi – spiega l’avvocato Auricchiella – i richiedenti sono stati dichiarati assenti ed è stato emesso nei loro confronti il provvedimento di diniego”.

 

È accaduto pure che i documenti relativi alle procedure di riconoscimento della protezione internazionale, avviate in altri CARA italiani, non siano mai arrivati alla nuova Commissione Territoriale competente, con la conseguenza che molti richiedenti che attendevano il colloquio o la decisione finale sin dall’ottobre 2010, si sono visti precedere da chi era giunto in Italia successivamente. A Mineo la Commissione si è insediata solo due mesi dopo l’apertura del centro, e ancora oggi prosegue i propri lavori con eccessiva lentezza. E gli ospiti continuano a lamentare il non rispetto, a parità di status e condizioni di fatto, di alcun criterio logico e cronologico nella disamina delle istanze e nella convocazione per l’audizione. “Essa non si è avvalsa di interpreti competenti, né è stata garantita trasparenza alle procedure per la loro selezione e nomina”, afferma l’ARCI. “Alcuni provvedimenti di rigetto della domanda di asilo (peraltro, resi in italiano e non tradotti) non hanno specificato il foro competente, ma hanno erroneamente indicato, quale Tribunale ove ricorrere, quello del luogo di provenienza, quando, invece, nel caso di Mineo, è competente Catania”.

 

“Fino all’insediamento dell’ente gestore non risulta che sia stata garantita assistenza legale ai richiedenti asilo e, attualmente, l’assistenza offerta non risulta essere adeguata allo standard richiesto dalla Direttiva 2003/9/CE”, aggiunge il rapporto. Le uniche consulenze in campo legale sono state così quelle fornite da tre operatori dall’UNHCR (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e da alcune associazioni non governative (ARCI, ASGI e Rete antirazzista catanese) grazie l’allestimento di banchetti informativi all’esterno del campo. “L’ingresso nel centro da parte dei legali è stato molto difficoltoso e alcuni professionisti si sono visti costretti a prestare la propria assistenza fuori su un prato”, scrive l’avvocato Auricchiella. “Non è stata dedicata un’ala ai minori non accompagnati, in attesa dello svolgimento delle procedure di legge, e la nomina dei rappresentanti legali si è protratta per troppo lungo tempo e ha fatto sì che molti minori giunti a Mineo divenissero maggiorenni senza che, nelle more, beneficiassero del percorso di integrazione e formazione che la stessa legge nazionale prevede”.

 

L’ARCI lamenta la non elaborazione a Mineo di un piano integrato per la programmazione e realizzazione dei servizi connessi con il territorio; né si è previsto di potenziare l’accesso al sistema scolastico o di assicurare risorse aggiuntive all’ASL per rendere efficiente la tutela sanitaria. I richiedenti asilo hanno fruito delle prestazioni sanitarie esattamente come i cittadini stranieri irregolarmente presenti in Italia e privi di tessera sanitaria, mentre al contrario spettava loro il diritto-dovere di accesso in condizioni di parità con i cittadini italiani, come sancito dal testo unico sull’immigrazione.

 

“La presenza stabile di quasi duemila persone di origine straniera avrebbe dovuto comportare la previsione ed organizzazione di servizi di mediazione linguistico-culturale per l’intera rete dei servizi locali”, conclude il rapporto. “Di questo a Mineo non v’è traccia. Ciò ha creato fra gli ospiti un forte disagio che in alcuni casi è sfociato in rivolte o in veri e propri scontri etnici, con grave rischio per le donne, i minori e gli operatori presenti all’interno del centro”. Quando poi la gestione dei servizi del CARA è stata affidata ad un associazione temporanea di cooperative e imprese e sono giunti i primi “interpreti” e “mediatori culturali”, è accaduto che uno di essi, un cittadino di origini bengalesi, assunto da una coop romana, venisse arrestato dalla squadra mobile di Catania con l’accusa di estorsione per essersi fatto consegnare 400 euro da un connazionale, per fargli ottenere dalla Commissione Territoriale il riconoscimento dello status di rifugiato.

 

“Le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere i richiedenti asilo impongono l’immediata chiusura del CARA di Mineo”, afferma la Rete antirazzista catanese che ha convocato una grande manifestazione regionale, domenica 18 dicembre, davanti all’ingresso del centro. L’iniziativa, promossa congiuntamente con la Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella, LILA, Cobas, Collettivo Red Militant, Cobas antirazzista, Forum Antirazzista e GAPA, vedrà la partecipazione delle realtà di base che lottano contro il razzismo, le guerre e la militarizzazione in Sicilia. “Vogliamo che i richiedenti asilo del CARA più grande d’Europa, siano riconosciuti come soggetti umani in cerca di un futuro migliore, non trattati come oggetti parcheggiati a tempo indefinito per favorire il business della pseudo accoglienza”, spiegano gli organizzatori. “Chiediamo che sia garantita la libera circolazione e la regolarizzazione di tutti i migranti, sostenendo la campagna contro la sanatoria truffa del settembre 2009. La Sicilia non deve essere un lager per gli immigrati, né una polveriera di ordigni di morte e di micidiali basi militari USA-NATO”.

 

 

Il Ponte di Messina catastrofe idrogeologica

di Antonio Mazzeo

 

Cantieri, linee ferroviarie e arterie stradali, enormi discariche a cielo aperto dove stipare milioni di metri cubi di scavi: tutti da realizzare in aree ad altissimo rischio idrogeologico dove l’erosione dei terreni sembra procedere inarrestabile. Le ultime fiumare da cementificare e trasformare in grandi vie di comunicazione o parcheggi, destinate a straripare in caso di piogge intense ed ingoiare case ed esseri viventi. La lettura delle carte progettuali del Ponte di Messina rivela le mille insensatezze di chi si ostina a tenere in vita il mito-mostro del collegamento stabile sullo Stretto, in un territorio stuprato e annientato da costruzioni selvagge, anonime, prive di spazi verdi o servizi pubblici, squallidi centri-dormitori disumanizzati e disumanizzanti. Un’opera che elude i fragili equilibri idrogeologici di una città non luogo, vulnerabilissima alle frane e alle alluvioni e che, solo due anni fa, ha pagato un terribile tributo per le scellerate scelte di una classe politica inetta e di una borghesia parassitaria, affarista, mafiosa.

Mentre il neopresidente del consiglio Monti, ministri e viceministri-banchieri preferiscono glissare lo spinoso affaire ereditato da Berluconi & C., da Messina arriva un altro autorevole parere sull’insostenibilità ambientale ed idrogeologica del Ponte tra Scilla e Cariddi. Con una nota inviata lo scorso 28 ottobre all’Assessorato alle Infrastrutture e la Mobilità della Regione Siciliana, l’ingegnere Gaetano Sciacca, capo del Genio civile, evidenzia alcune delle criticità irrisolte del progetto e dei relativi collegamenti stradali e ferroviari. “Non si tiene conto, nelle opere di attraversamento delle numerose fiumare, della particolare fragilità idrogeologica del Messinese che è stato, di recente (2007, 2008, 2009, 2010, 2011) più volte, coinvolto da eventi alluvionali di eccezionale intensità e drammaticità con perdite di vite umane”, rileva l’ingegnere Sciacca. “Tali interventi di attraversamento risultano disgiunti da una complessiva, necessaria ed indispensabile messa in sicurezza del sotteso bacino idrografico. Nelle fiumare, tutte caratterizzate da elevata pendenza dell’alveo, si sono registrati, in concomitanza dei citati eventi pluviometrici intensi e duraturi, notevoli quantitativi della portata solida, alimentata dalle centinaia di colate di fango e detriti, che si sono mobilizzate dai versanti, e sono successivamente confluite nelle principali aste torrentizie”.

Secondo il responsabile del Genio civile di Messina vanno dunque previste “adeguate opere di presidio e messa in sicurezza per ciascun bacino idrografico sotteso dalle fiumare attraversate, con interventi mirati alla mitigazione del rischio nelle aree, peraltro, classificate a pericolosità e a rischio idraulico”. Proprio a causa della fragilità idrogeologica del territorio e alla ricorrenza di violenti eventi alluvionali in tempi ravvicinati, l’ingegnere Sciacca spiega di non condividere la scelta di allocare i cosiddetti siti di “recupero ambientale” – come il fantasioso giro di parole dei progettisti denomina le discariche dei materiali – “nell’ambito di strette ed incassate vallecole solcate dai tratti distali delle fiumare, e costituite da terreni granulari, non coesivi e quindi facilmente erodibili”.

“I suddetti siti ricadono o su aree in cui a valle sono preesistenti arterie stradali (la “Panoramica dello Stretto”) o su aree in cui è presente un più o meno fitto grado di urbanizzazione con edifici e case”, lamenta il capo del Genio civile. “Non vengono poi indicate le piste di servizio che consentono, in sicurezza, il raggiungimento dei siti di recupero che sono posti in zone acclivi e di difficile raggiungimento. Il recapito finale delle acque di raccolta nei suddetti siti avviene lungo gli alvei-strada che sono una delle principali cause di danni a persone e cose. Conseguentemente, si è dell’avviso che debba essere rivista l’ubicazione delle aree in cui essi sono stati ubicati”.

L’ingegnere Sciacca si recava il successivo 4 novembre a Palermo per partecipare alla conferenza dei servizi organizzata dall’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente. Di fronte ai rappresentanti del consorzio d’imprese aggiudicatario dei lavori del Ponte (Eurolink) e della Società Stretto di Messina, il funzionario sollevava nuovamente il tema della fragilità idrogeologica del territorio interessato dai lavori del Ponte, rilevando ulteriori problematiche riassunte in una nota che lo stesso Sciacca avrebbe poi inviato l’8 novembre al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli. “Lungo gli assi viari “Annunziata”, “Papardo” ed “Europa” verranno indirizzati gran parte dei mezzi gommati pesanti di cantiere”, scrive Sciacca. “Trattandosi di alvei tombinati, presentano due ordini di problemi: di carattere prettamente strutturale e idraulico, quanto alla capacità di contenere gli eventi di piena in caso di precipitazioni a carattere eccezionale tipo “bombe d’acqua”. I citati assi viari, nient’altro che torrenti da tempo coperti, sono costituiti da impalcati che vanno preventivamente verificati ai fini statici, costituendo altresì infrastrutture strategiche ai fini di Protezione Civile. Sono da ritenersi carenti dal punto manutentivo e conseguentemente, un loro ulteriore utilizzo, dovuto ad un incremento dei carichi mobili dei mezzi pesanti, ne potrebbe compromettere la stabilità”.

Il Genio civile definisce “inopportuna e peraltro in evidente contrasto con la sensibilità ambientale”, l’esigenza degli amministratori comunali di “cementificare ulteriormente il territorio, e nel caso specifico di coprire i torrenti “Papardo” e “Annunziata”, ritenendo di risolvere i problemi viari che affliggono la città, nonostante i tragici eventi che hanno interessato il territorio” (il nubifragio che ha spazzato via Giampilieri e Scaletta o la recente alluvione di Genova). “Se opere infrastrutturali devono realizzarsi a Messina”, conclude Sciacca, “le stesse devono innanzitutto mitigare, attenuare, incrementare il grado di sicurezza del territorio e giammai aumentarne le criticità”.

Ulteriori “interferenze” delle opere stradali e ferroviarie con le aree a pericolosità geomorfologica della sponda siciliana sono state rilevate dagli esperti delle associazioni ambientaliste (FAI, Legambiente, Italia Nostra, MAN e WWF) che hanno analizzato il progetto “definitivo” del Ponte. Dal confronto per sovrapposizione della cartografia del Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico con la tavola progettuale SB0003_FO-dwf, emerge ad esempio che alcune opere di collegamento interferiscono con due aree a pericolosità moderata e una a rischio medio. Si tratta in particolare, nei primi due casi, della strada compresa tra le località Lido Mortelle e Semaforo Forte Spuria, caratterizzate da dissesto attivo ed erosione accelerata, e dell’opera ferroviaria in località Ficarazzi, soggetta a franosità diffusa. Di pericolosità media è invece la strada in località Piano dei Greci, zona “Annunziata”, soggetta a dissesto attivo e deformazione superficiale lenta.

Tra gli elaborati del progetto compare proprio una relazione geomorfologica che descrive accuratamente il dissesto attivo di cui è vittima l’area dell’“Annunziata” di Messina, evidentemente tenuta in scarsa considerazione dai Signori del Ponte. Lo studio geologico, esteso ad un tratto di versante significativo, mette in evidenza una situazione piuttosto preoccupante circa la pericolosità del dissesto attivo. Si afferma in particolare che uno dei corpi di frana, il più antico, pur essendo inattivo rispetto ad agenti naturali, può comunque essere riattivato antropicamente qualora interventi di scavo e/o modifica della morfologia di versante possano ripristinarne la libertà cinematica. I restanti due corpi di frana, essendo già attivi, “possono invece essere portati in condizioni di maggiore disequilibrio da eventuali interventi che ne potrebbero causare la riattivazione e/o l’accelerazione del movimento”.

Ciononostante, proprio sopra il torrente “Annunziata” dovrebbe sorgere il “sito di recupero” numero 3, in cui si prevede di depositare oltre 720 mila metri cubi di materiali di scavo. Neanche tanto in fondo: in località “Bianchi”, presso cui si trova il torrente Guardianella, si è pensato di ricavare una discarica di detriti ed inerti per 2.122.694 metri cubi (o 2.363.000 come si legge in altro elaborato progettuale!). La follia dei pontisti non conosce limiti…