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Inutile strage, pura follia, aggressione che si fa crimine

4 novembre.

C’è molta saggezza nelle parole di Benedetto XV il 1 agosto 1917: “In sì angoscioso stato di cose, dinanzi a così grave minaccia, Noi, non per mire politiche particolari, né per suggerimento od interesse di alcuna delle parti belligeranti, ma mossi unicamente dalla coscienza del supremo dovere di Padre comune dei fedeli, dal sospiro dei figli che invocano l’opera Nostra e la Nostra parola pacificatrice, dalla voce stessa dell’umanità e della ragione, alziamo nuovamente il grido di pace, e rinnoviamo un caldo appello a chi tiene in mano le sorti delle Nazioni… Siamo animati dalla cara e soave speranza…di giungere quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale ogni giorno di più apparisce inutile strage.” Nel 1920, egli pubblica un’enciclica “Pacem Dei munus pulcherrimum” in cui sviluppa il suo messaggio, inascoltato a partire dai vescovi e dalle comunità cristiane, sulla centralità per tutti i credenti del “Vangelo di pace”.
Qualche anno dopo, solo don Primo Mazzolari, col suo splendido “Tu non uccidere” del 1955, continua la riflessione, ripresa, sia pure timidamente, al Concilio Vaticano II. Non intendo approfondire la questione delle incoerenze e delle contraddizioni presenti nella Chiesa cattolica sul tema della guerra. Vorrei solo ribadire che oggi la guerra non appare e non è solo inutile ma è un fenomeno di pura follia (alienum a ratione, come dice Giovanni XXIII nella “Pacem in terris” del 1963). Fenomeno assurdo anche perché controproducente, costosissimo e feroce.
Basta guardare al decennio trascorso. Dopo tante guerre e imprese armate il mondo non è più sicuro né meno spaventato. Occorre ribadire che il miglior modo di onorare le vittime delle guerre è quello di evitare altre tragedie e di prevenire ulteriori lutti. Ogni violenza genera altra violenza, ogni attacco produce un altro attacco. È assurdo, insomma, come rilevava in Libia mons. Martinelli, condurre una «missione di pace» bombardando. O cominciare un nuovo corso godendo per la morte del tiranno fino ad ieri celebrato. Solo la pace con mezzi di pace, cioè «la nonviolenza», tiene aperta la speranza. Occorre risvegliare tante realtà: l’Europa, l’Onu, il diritto internazionale, il Parlamento italiano senza una seria politica estera, le religioni che a fine ottobre radunate ad Assisi in un “pellegrinaggio di pace”, il movimento ecumenico che a Kingston ha ragionato sulla “pace giusta”, il movimento italiano della pace che nell’ultima Perugia-Assisi ha diffuso un decalogo utile per una politica di pace non solo assente ma anche irrisa, la società, ognuno di noi. Ill 30-31 dicembre, prima della marcia di Capodanno, ci troveremo a a Brescia a ragionare su disarmo, finanza, banche armate: “Disarmo vuol dire futuro. Economia di giustizia e di pace”.
E’ bene al riguardo ricordare un testo dimenticato, l’appello della Santa Sede del 1976: “La corsa agli armamenti, anche quando è dettata da una preoccupazione di legittima difesa è nella realtà un pericolo e un’ingiustizia per la natura stessa delle armi moderne e per la situazione planetaria […]. Questa corsa folle mantiene in piedi una pace falsa, una falsa sicurezza. Diviene un fine anziché un mezzo, come si illudeva di essere. Instaura un disordine istituzionalizzato. Costituisce una perversione della vera pace. In ogni occasione, opportuna o meno, i cristiani, seguendo il Vicario di Cristo, debbono denunciare questa preparazione scientifica dell’umanità alla propria fine […]. La corsa agli armamenti si è trasformata in una corsa ad aumentare forza al potere. E’ già attualmente un mezzo per imporre alle nazioni più deboli, e persino ai blocchi antagonisti, il proprio dominio. E’ dunque al servizio di un autentico imperialismo e di un neocolonialismo e permette alle grandi potenze una nuova spartizione del mondo […]. Costituisce in realtà un furto, perché i capitali astronomici destinati alla fabbricazione e alle scorte delle armi costituiscono una vera distorsione dei fondi da parte dei gerenti delle grandi nazioni o dei blocchi meno favoriti. La contraddizione manifesta tra lo spreco della sovrapproduzione delle attrezzature militari e la somma dei bisogni vitali non soddisfatti (paesi in via di sviluppo; emarginati e poveri delle società abbienti) costituisce già un’aggressione verso quelli che ne sono vittime. Aggressione che si fa crimine: gli armamenti, anche se non messi in opera, con il loro alto costo uccidono i poveri, facendoli morire di fame”. Spero che la prossima Giornata mondiale della pace del 1 gennaio 2012, “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”, riprenda tale argomentazione profetica e ne faccia strumento operativo per tutti.

Sergio Paronetto