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Il magistero della Pace in Giovanni Paolo II

Non c’è pace senza giustizia. Non c’è giustizia senza perdono
Il magistero della Pace in Giovanni Paolo II

Mons. Giovanni Giudici, vescovo presidente di Pax Christi Italia, Brescia, 21ottobre 2011

Premessa

L’iniziativa
di riflettere sul magistero di Giovanni Paolo II a proposito della
pace, è stata fortemente voluta da Pax Christi per riannodare alla
devozione nei confronti del nuovo Beato il  discorso da lui fatto a
proposito della pace. Nel vasto panorama degli interventi del Papa,
il tema della pace è stato qualificante perché strettamente
connesso con la sua vicenda personale e perché innovativo, per
taluni aspetti. Tutto ciò va riconosciuto e diviene significativo
nel momento in cui un credente viene proposto come modello di vita
cristiana

 I.    Il tema della pace oggi nella Chiesa e nel mondo

Il
momento sociale che stiamo vivendo non aiuta a riflettere sul tema
della pace: 

1)
Il mutamento profondo avvenuto nelle modalità con cui di manifesta
la violenza tra le persone, i popoli, gli schieramenti: attentati,
omicidi mirati, stragi.

2)
gli avvenimenti dell’11 settembre hanno cambiato il modo di guardare
al rapporto tra le nazioni, anzi hanno aperto un dibattito che ci ha
portato a guardare alle società e alle culture con un atteggiamento
di sospetto e di aggressività di cui solo ora vediamo con chiarezza
le conseguenze nefaste.

Nella
comunità cristiana il clima culturale circostante non ha favorito
una maturazione del tema della pace; lo si è confinato a livello di
riflessione generica, quando non spiritualistica. La pace è invece
segno del Regno, inizio della redenzione. È dono di Cristo risorto e
impegno dei discepoli. Essi  portano nel mondo il dono ricevuto nella
Pasqua.

Dobbiamo
riconoscere con realismo questa carenza e ci sembra importante
assumere il comune impegno di far diventare il discorso sulla pace
meglio compreso nei suoi presupposti e nelle sue conseguenze, come
pure più diffuso e più approfondito.

Ecco
perché è benvenuto il tema a cui è dedicata la prossima giornata
mondiale della Pace, che la CEI ha deciso di realizzare proprio qui a
Brescia:
educare
alla pace
.

La
figura di GP II ci aiuta in questo cammino per almeno due motivi:

  1. anzitutto
    perché la Chiesa ha riconosciuto l’eroicità delle sue virtù e
    dunque in certo senso lo propone come modello a tutti i credenti.

  2. Inoltre,
    nel pensiero e nella biografia di GP II vediamo:un progressivo
    approfondimento del tema della pace. E questo fatto aiuta tutti noi
    a riprendere con impegno il discorso di una maturazione della
    sensibilità a proposito della pace non solo in quanto contenuto
    fondamentale delle promesse del Messia al mondo e di Cristo alla sua
    comunità, ma anche come traccia di un cammino pedagogico nei
    confronti dei giovani.

II
– il magistero della pace nel magistero della Chiesa prima di
G
iovanni
Paolo II

Parliamo
della pace relativa all’assenza e alla cessazione dei conflitti tra
individui e gruppi diversi e iniziamo con una rapida lettura del
pensiero della pace all’interno della Tradizione cattolica per far
capire soprattutto la progressività dell’annuncio cristiano della
pace e la singolarità del Magistero della pace all’interno della
Chiesa.

Una
svolta epocale a proposito di questo tema è stata l’Enciclica
Pacem
in Terris
,
emanata da Papa Giovanni il venerdì santo del ’63. Giovanni XXIII
volle mettere al bando il concetto di guerra giusta e definì che il
dichiarare una guerra “giusta”, proprio nel caso allora presente
della deterrenza nucleare, era “alieno dalla ragione”. Quella
svolta fu profetica e rappresenta un punto di non ritorno e che
successivamente ha solo avuto delle precisazioni in qualche caso
altrettanto profetiche.

Per
trovare tracce nel Magistero se non di una teologia della pace quanto
meno di un ripensamento sulla guerra all’interno della riflessione
sulla giustizia, occorre risalire all’inizio del ventesimo secolo.
E’ Leone XIII che denuncia l’illusorietà della così detta pace
armata mentre Benedetto XV nell’esortazione alle potenze
belligeranti della prima guerra mondiale definisce la guerra “
una
inutile strage
”,
1 agosto del ’17.

Non
dobbiamo anche dimenticare che Pio XI, il quale pur seppe denunciare
la aggressività dei totalitarismi nazisti e comunisti e condannare
ogni forma di guerra ingiusta, tuttavia non delegittimò la guerra
dell’Italia fascista contro l’Etiopia e si espresse in maniera
positiva a proposito della guerra civile franchista in Spagna.

Pio
XII è il primo papa a dare consistenza a un pensiero critico nei
confronti della guerra. Poco dopo l’elezione, appena un mese prima
dell’invasione della Polonia da parte di Hitler, proclamava “
Nulla
è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra”
e
durante il suo pontificato la Santa Sede si impegnò in modo
perseverante per la pace tra le nazioni denunciando sempre gli errori
che sono alla radice di tanti mali. Il tema della condanna della
guerra è tuttavia reso almeno ambiguo da affermazioni come la
seguente: “
gli
eventi luttuosi e devastanti della guerra
,
sono parole di Pio XII,
come
prove che Dio lascia cadere sugli uomini, individui e popoli, in un
disegno di giustizia volto a castigare i peccati, a purificare
persone e popoli con le espiazioni della vita presente e così
attraverso la prova della guerra ricondurli a sé
”.
Si resta perlomeno perplessi! Pio XII dunque condanna sì la guerra,
fa in modo che la Santa Sede svolga al meglio l’opera di
contenimento delle sofferenze e ricostruzione di rapporti pacifici ma
si muove sempre nell’ottica di una teologia della guerra giusta.
Così quando denunciava i conflitti si augurava che
non
fossero sorpassati i confini consentiti dal jus belli,
dal
diritto della guerra. Radiomessaggio pasquale 13 aprile 1941.

Possiamo
allora cogliere meglio la portata della svolta impressa
dall’insegnamento e dal pensiero di Papa Giovanni. Come per altre
istanze presenti nella Chiesa cattolica, ma confinate nel sottosuolo,
anche sulla tematica della pace Papa Roncalli sa dare voce e
autorevolezza all’oscuro lavoro di pochi, coraggiosi pionieri.
Giovanni XXIII, dopo essere intervenuto in prima persona per
scongiurare lo scoppio di un conflitto tra le due superpotenze a
seguito della crisi di Cuba, già gravemente malato consegna alla
Chiesa e, ed è significativo,
a
tutti gli uomini di buona volontà,  (
quella
Enciclica resta l’unica Enciclica indirizzata non ai cristiani ma a
tutti gli uomini di buona volontà) una sorta di testamento
spirituale: è l’enciclica
Pacem
in Terris
.
Il Papa firma la lettera l’11 aprile e morirà la sera del 3 giugno
successivo, giorno di Pentecoste.

In
quel testo Giovanni XXIII prende radicalmente le distanze dal sistema
di deterrenza, considerato normale in quegli anni da tutti, e
sostiene la necessità di un disarmo simultaneo e reciproco e della
messa al bando delle armi nucleari per pervenire a un disarmo
integrale anche degli spiriti in modo che al criterio della pace che
si regge sull’equilibrio degli armamenti si sostituisca il
principio che la vera pace si può costruire soltanto in una fiducia
reciproca e in una riconosciuta fraternità umana. Con l’Enciclica
il Papa giunge a ritenere ormai impraticabile ogni legittimazione
nell’era nucleare della guerra anche qualora vi fossero le
tradizionali motivazioni per considerarla giusta. In sostanza noi
abbiamo qui una presa di coscienza da parte del papato delle nuove
condizioni che impongono l’impossibilità di giustificare qualsiasi
guerra.

Il
testo originale latino del passaggio chiave dell’Enciclica dice in
sostanza che in questa età in cui ci si gloria della forza atomica è
alieno
dalla ragione pensare alla guerra
.
L’affermazione è forte. Colui che sarà chiamato il
Papa
buono

opera un rifiuto categorico della guerra e toglie ogni possibilità
di legittimare una guerra definendola
giusta.
Tale novità fu colta con lapidaria concisione dal teologo Yves
Congar che così commentò: “
La
stagione della guerra giusta è terminata nella teologia cattolica”.

Tuttavia il Concilio non sarà capace di proseguire il cammino per
una teologia della pace seguendo le indicazioni di Papa Giovanni. Una
casistica prudenziale porterà il Concilio a esprimersi, soprattutto
nella
Gaudium
et Spes
,
con accenti diversi, più deboli; così non ci sarà più una
condanna della deterrenza nucleare cioè dell’ammassare armi
atomiche per dissuadere l’avversario dall’infliggere il primo
colpo; un colpo che risulterebbe mortale per tutti. Nel dibattito
assembleare prevalsero le ragioni di una irragionevole prudenza così
che all’interno dei testi conciliari, Gaudium et Spes 81, leggiamo
un tiepido: “
Qualunque
cosa si possa pensare di questo metodo dissuasivo, la deterrenza
atomica”
,
ma non si fa cenno di alcun giudizio di condanna, si parla di
compiere
ogni sforzo

per preparare quel tempo nel quale mediante l’accordo delle nazioni
si potrà interdire del tutto il ricorso alla guerra ma nel frattempo
viene riproposto
il
diritto dovere della legittima difesa
.

Possiamo
dire che i Padri conciliari non giudicarono ancora maturo il tempo
per interdire totalmente qualsiasi ricorso alla guerra. Certo, il
Concilio ha ripreso l’invito roncalliano a liberarsi dall’antica
schiavitù della guerra e a cercare vie nuove partendo dalla riforma
degli spiriti ma quella franchezza che c’era nella
Pacem
in Terris

non la ritroviamo più. Proprio per questa ragione sul tema della
pace troviamo all’interno della Chiesa e della dottrina cattolica
indirizzi anche molto diversi in merito. Vi è una corrente espressa
da Lercaro, La Pira e molti altri testimoni, che potremmo definire di
pacifismo cristiano radicale, secondo la quale la guerra deve essere
sempre condannata in quanto contraria al Vangelo e aliena dalla
ragione, ma c’è anche un’altra tendenza che ripropone la
possibilità della guerra secondo il principio di un realismo senza
futuro che ritorna al
si
vis pace, para bellum.
Si
tratta di un atteggiamento miope perché non sviluppa tutto lo sforzo
dovuto alla ricerca di attenzioni, alleanze, proposte che rendano più
realistico e positivo il crecare la pace. All’interno di questa
posizione, vi è anche la presenza di persone che sono prese  dallo
schema intransigente dell’epoca della cristianità e affermano la
legittimità non solo della guerra difensiva ma anche di quella
offensiva se condotta per l’espansione della fede cristiana.

Noi
ci soffermiamo brevemente sulla posizione che
segue
la
Gaudium
et Spes

che, pur auspicando la fine di ogni conflitto armato, ammette
tuttavia la liceità della guerra di legittima difesa. Sarà questa
la posizione approfondita da Paolo VI e poi da Giovanni Paolo II.
Nell’insegnamento di Paolo VI non si trovano particolari novità
riguardo alla teologia della pace. Ciò che è nuovo
nell’insegnamento di questo Papa è piuttosto la comprensione del
rapporto tra lo sviluppo del progresso dei popoli e la costruzione
della pace; a lui dobbiamo la sottolineatura del rapporto tra una
maggior giustizia sociale a livello planetario e il possibile
disinnesco dei potenziali conflitti tra stati, e pure l’indicazione
che all’interno degli stati stessi vi sono sperequazioni tali da
spingere poi i poveri e gli impoveriti a tentare di risolvere i
problemi della giustizia sociale ricorrendo alle armi. Esemplare di
questo è l”enciclica Populorum

Progressio
.

III
– le attenzioni caratteristiche di G
iovanni
Paolo II

Con
Giovanni Paolo II il quadro teologico conosce da un lato una ripresa
e dall’altro una conferma di alcune acquisizioni. Tutti gli
interventi del Magistero papale del ‘900, da Benedetto XV a Pio XII
sono costantemente citati negli interventi di questo Papa che ha
vissuto in maniera diretta la tragica esperienza del secondo
conflitto mondiale. E’ in questa continuità che Giovanni Paolo II
cita a più riprese il versetto di Isaia 
Opus
justitiae pax,
che
era già il motto episcopale di Pio XII “
Opera
della giustizia sarà la pace”.

Versetto con il quale il Papa afferma con forza che la pace equivale
allo stabilire nel mondo un ordine fondato sulla giustizia e il pieno
rispetto dei diritti umani e, proprio perché la pace può nascere
solo se c’è giustizia, Giovanni Paolo II arriverà a dire che ci
sono dei casi in cui la lotta armata è un male inevitabile a cui in
circostanze tragiche non possono sottrarsi neanche i cristiani.
Vienna 22 giugno ’83. Oppure nel messaggio per la Giornata della
Pace dell’84 scrive:
E’
il senso della realtà al servizio fondamentale della giustizia che
impone il mantenimento del principio della legittima difesa
.

In
questa prospettiva, la Santa Sede ha mantenuto la dottrina della
guerra giusta nel Catechismo della Chiesa Cattolica voluto da
Giovanni Paolo II nel ’92 e negli anni ’80 ha declinato questa
teoria della guerra giusta sotto la formula “
Dovere
e diritto di ingerenza per disarmare quelli che non rispettano la
giustizia e i diritti di un popolo
”.
Fu soprattutto a causa della guerra in Jugoslavia che il Papa chiese
più volte di intervenire in nome di questo diritto di ingerenza.

Molti
sono gli interventi di Giovanni Paolo II in questo senso a cominciare
da quello al Corpo Diplomatico nel ’93:
Una
volta che tutte le possibilità offerte dai negoziati diplomatici e i
processi previsti dalle convenzioni internazionali sono stati messi
in opera e che malgrado ciò delle popolazioni sono sul punto di
soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore, gli Stati non
hanno più diritto all’indifferenza, sembra bene che il loro dovere
sia intervenire per disarmare l’aggressore
.

Vi
è poi il Discorso ai cappellani militari italiani nel ’95 e legato
di nuovo al concetto di guerra giusta nel messaggio del Primo gennaio
del 2000:
Quando
le popolazioni civili rischiano di soccombere sotto i colpi di un
ingiusto oppressore
è
legittimo
e perfino doveroso impegnarsi in iniziative concrete a disarmare
l’aggressore. Queste però devono essere circoscritte nel tempo,
precise negli obiettivi, condotte nel pieno rispetto del diritto
internazionale, garantite dalla autorità sovranazionale
riconosciuta, mai lasciate alla mera logica delle armi.
Come
si vede siamo in piena continuità con il Magistero dei papi del
‘900, tanto più che la biografia di questo Papa, cittadino di una
patria amata e conquistata da aggressori alleati per eliminarla, più
di altri poteva comprendere il tema dell’ingiusto aggressore.

Negli
stessi anni tuttavia si comincia a intravedere nella riflessione di
Giovanni Paolo II un percorso diverso, maggiormente in sintonia con
le intuizioni della
Pacem
in Terris
.
Nel ’91, in occasione della prima guerra del golfo condotta dagli
Stati Uniti verso l’Iraq, il Papa prende posizione contro la
legittimazione religiosa della guerra dicendo che
è
assurda una guerra condotta in nome di Dio
,
Angelus del 27 giugno del ’91. E nel ’95 arriverà a dire che
anche la Crociata Medioevale per la difesa dei luoghi santi resta un
fatto dissonante col Vangelo.

In
Giovanni Paolo II vi è soprattutto a partire dal primo incontro
delle religioni ad Assisi ’
86
una ferma volontà di togliere ogni legittimità a guerre di
religione e scontri di civiltà. Ma la novità dirompente per cui
ricordiamo oggi con gratitudine Giovanni Paolo II è quella contenuta
nel messaggio per la Giornata Mondiale del Primo gennaio 2002,
certamente l’apice teologico del pensiero sulla pace del Papa e di
tutto il Magistero cattolico. E’ un messaggio che giunge
all’indomani della data spartiacque dell’11 settembre che ha
provocato un ripensamento della stessa concezione del termine
guerra
e
che ha in un colpo solo messo in discussione le tradizionali vie di
composizione diplomatica o istituzionalizzata delle crisi
internazionali. Ebbene, in quel documento Giovanni Paolo II si spinge
ben oltre la convinzione che opera della giustizia è la pace. Egli,
non solo ribadisce che quando la giustizia è violata e ferita deve
essere ristabilita affinché possa farsi strada la pace ma afferma
che “
nella
giustizia da cui dipende la pace, nella giustizia che è fondamento
della pace, deve essere iscritto e contenuto il principio del
perdono
”.
Quel messaggio è una ulteriore acquisizione nel magistero della
Chiesa cattolica. Occorre però che quanti si attendono un Magistero
di pace sappiano rispondere alla forza profetica di quel messaggio
che è l’apice di ogni Magistero cristiano sulla pace.

Non
solo si tratta di una novità assoluta nel magistero della Chiesa e
il Papa era ben consapevole della audacia di quanto affermava
soprattutto in considerazione del momento storico. Ma va ricordato
anche, come egli ci racconta, il suo cammino interiore per giungere a
formulare e a rendere per lui stesso vincolante quella acquisizione.
Il Papa, all’interno di quel messaggio, dice che
proprio
leggendo le pagine del Vangelo giorno dopo giorno lui si è reso
conto di dover fare questa affermazione.
Non
è usuale che un Papa indichi il processo con cui arriva a formulare
le affermazioni che divengono proposta magisteriale. Nel Messaggio lo
dice come quasi una acquisizione interiore cui ha potuto giungere
attraverso un lavorio della sua coscienza fino ad essere convinto dal
Vangelo letto giorno dopo giorno che lo spinge ad esprimersi in
questo modo.

Occorre
fare attenzione anche al fatto che il Papa non propone il consueto
invito all’esercizio della virtù personale, eroica fin che si
vuole, del perdono – la Chiesa ha sempre detto a tutti i cristiani
di perdonare i nemici –. Qui si tratta di proporre il perdono
considerandolo nel  livello politico, cui l’atteggiamento della
riconciliazione può giungere. Non è dunque soltanto un invito alla
scelta personale del perdono. Egli pone l’attenzione della comunità
cristiana e civile alla necessità della giustizia a livello
politico. In questo senso è nuovo il concetto di perdono: “
Solo
nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono
si può sperare in una politica del perdono

e
–attenzione a quello che arriva a dire –
una
politica
del perdono che deve essere espressa in atteggiamenti sociali e in
istituti giuridici nei quali la stessa giustizia assuma un volto
umano”.

Etica,
cultura, politica, atteggiamenti sociali, istituti giuridici è la
risposta globale alla nuova tipologia di guerra creatasi con il
terrorismo internazionale. Quella del perdono perseguito come
strumento efficace di pace, sembra essere la nuova frontiera del
pacifismo internazionale. Il passo è significativo e importante
perché non si può solo accontentarsi di usare definizioni
classiche, di ricercare la pace attraverso il diritto. Neppure è
sufficiente fermarsi al pacifismo sociale, nelle due diverse
accezioni di sostegno della rivoluzione sociale e della eliminazione
dell’ingiustizie. Ora occorre mettere in campo il perseguimento
ostinato e dotato di strumenti concreti del perdono a livello di
polis.

Ascoltiamo
insieme il passaggio più chiaro: “
La
convinzione a cui sono giunto ragionando e confrontandomi col vangelo
è che non si stabilisce un ordine infranto se non coniugando tra
loro giustizia e perdono. La giustizia non è sufficiente per la
pace, e il perdono è immanente alla giustizia. Non c’è pace senza
giustizia ma non c’è nessuna giustizia senza perdono
”.

Le
parole del Papa mi sembra che aprano lo spazio ad una riflessione sui
fatti di contrapposizione e di violenza che abbiamo vissuto in questi
anni, e chiamino a un confronto serrato a proposito di determinate
“parole d’ordine” impartite da mass media, da giornalisti e
uomini di istituzione in questi anni.
Dobbiamo
riconoscere che vi è stata una dissennata seminagione di timori,
generalizzazioni nel giudizio su culture e religioni, proprio a
livello di opinione pubblica. Ciò ha generato anzitutto ansietà
nella gente, ma soprattutto è stato causa di ritardi nella ricerca
di soluzioni politiche per il collegamento con i paesi del
Mediterraneo e di vere  tragedie come la guerra contro l’Iraq.
Esaminando la questione da questo punto di vista, ci si accorge che
tutti dovremmo essere coinvolti nella sfida di attuare una politica
del perdono.  

La
pace dunque nasce con
lo
sforzo tenace di tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Il
cammino è lungo e arduo, tuttavia qua e là si sono mossi i primi
passi. Penso, ad esempio, alla Commissione per la Giustizia e
Riconciliazione nel Sud Africa post Apartheid; penso al cammino che
si sta facendo di perdono tra ebrei e palestinesi. Vi sono
associazioni che sono composte da persone che appartengono alle due
comunità e che operano insieme per i diritti. In particolare è da
ricordare l’associazione tra genitori delle vittime del terrorismo.
E’ però indispensabile il contributo e la ricerca delle migliori
menti e dei migliori cuori di tutte le discipline ed è necessaria
soprattutto la testimonianza cristiana.

L’esperienza
umana

trova
nel perdono il segno di un dono di Dio ma anche elementi di
ragionevolezza umana che aiutano a percepirne il valore. Ogni essere
umano, quando commette il male, si rende conto della propria
fragilità e desidera l’indulgenza degli altri: arriva così a
percepire, sia pure molto debolmente, l’importanza di non fare agli
altri ciò che ciascuno desidera non sia fatto a se stesso. Coltivare
la speranza di poter ricominciare un percorso di vita senza rimanere
prigioniero per sempre dei propri errori e delle proprie colpe è,
insomma, esperienza umana universalmente condivisa. E proprio a
questa ragionevolezza umana del perdono Giovanni Paolo II fa
riferimento, nel messaggio del 2003, quando suggerisce il valore e il
riconoscimento dei
“gesti
di pace”

nelle vite delle persone soprattutto nella loro dimensione
comunitaria.

IV
– Le altre novità del magistero di Giovanni Paolo II dopo l’11
settembre.

a)
Il ruolo delle religioni

Ripensando
all’attentato delle Twin Towers. Giovanni Paolo II esprime
preoccupazione per il ruolo che può avere la religione da molte
parti accusata di favorire la crescita della violenza attraverso
fondamentalismi che deformano il messaggio ma hanno in sé una
terribile forza di persuasione. La religione, indirizzata male, può
compiere disastri immani. Perciò
“è
profanazione della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio,
far violenza all’uomo in nome di Dio. La violenza terrorista è
contraria alla fede in Dio Creatore dell’uomo, in Dio che si prende
cura dell’uomo e lo ama.”

Ma
la presa di distanza da terrorismo non è sufficiente. I leaders
religiosi
“hanno
una loro specifica responsabilità. Le confessioni cristiane e le
grandi religioni dell’umanità devono collaborare tra loro per
eliminare le cause sociali e culturali del terrorismo, insegnando la
grandezza e la dignità della persona e diffondendo una maggiore
consapevolezza dell’unità del genere umano.”

In questa prospettiva viene ricordata anche la giornata di preghiera
per la pace del 24 gennaio 2002 in cui, raccogliendo l’invito di
Giovanni Paolo II, i rappresentanti delle varie confessioni religiose
riuniti ad Assisi, hanno stilato un  Decalogo per la pace che è
stato poi inviato ai capi di stato e di governo.

Il
Decalogo di Assisi per la pace

1. Ci
impegniamo a proclamare la nostra ferma convinzione che la violenza e
il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso e, condannando
qualsiasi ricorso alla violenza e alla guerra in nome di Dio o della
religione, ci impegniamo a fare tutto il possibile per sradicare le
cause del terrorismo.

2. Ci
impegniamo a educare le persone al rispetto e alla stima reciproci,
affinché si possa giungere a una coesistenza pacifica e solidale fra
i membri di etnie, di culture e di religioni diverse.

3. Ci
impegniamo a promuovere la cultura del dialogo, affinché si
sviluppino la comprensione e la fiducia reciproche fra gli individui
e fra i popoli, poiché tali sono le condizioni di una pace
autentica.

4. Ci
impegniamo a difendere il diritto di ogni persona umana a condurre
un’esistenza degna, conforme alla sua identità culturale, e a
fondare liberamente una propria famiglia.

5. Ci
impegniamo a dialogare con sincerità e pazienza, non considerando
ciò che ci separa come un muro insormontabile, ma, al contrario,
riconoscendo che il confronto con la diversità degli altri può
diventare un’occasione di maggiore comprensione reciproca.

6. Ci
impegniamo a perdonarci reciprocamente gli errori e i pregiudizi del
passato e del presente, e a sostenerci nello sforzo comune per
vincere l’egoismo e l’abuso, l’odio e la violenza, e per imparare dal
passato che la pace senza la giustizia non è una pace vera.

7. Ci
impegniamo a stare accanto a quanti soffrono per la miseria e
l’abbandono, facendoci voce di quanti non hanno voce e operando
concretamente per superare simili situazioni, convinti che nessuno
possa essere felice da solo.

8. Ci
impegniamo a fare nostro il grido di quanti non si rassegnano alla
violenza e al male, e desideriamo contribuire con tutte le nostre
forze a dare all’umanità del nostro tempo una reale speranza di
giustizia e di pace.

9. Ci
impegniamo a incoraggiare qualsiasi iniziativa che promuova
l’amicizia fra i popoli, convinti che, se manca un’intesa solida fra
i popoli, il progresso tecnologico espone il mondo a crescenti rischi
di distruzione e di morte.

10.Ci
impegniamo a chiedere ai responsabili delle nazioni di compiere tutti
gli sforzi possibili affinché, a livello nazionale e a livello
internazionale, sia edificato e consolidato un mondo di solidarietà
e di pace fondato sulla giustizia.

24
gennaio 2002

.

b)
Le affermazioni a proposito dei

conflitti in atto

In
un quadro globale segnato da molteplici
“tragiche
situazioni di conflitto”

e attraversato da profonde lacerazioni, più volte i messaggi si
soffermano sul richiamo a raggiungere finalmente la composizione
pacifica dei conflitti. Primo in ordine di tempo e di quantità di
richiami è il conflitto che dilania la Terra Santa. Le
incomprensioni, le tragiche memorie, le palesi e drammatiche violenze
e violazioni di diritti, rendono quella terra e le istituzioni e
popolazioni che la abitano quasi un emblema della difficoltà di
comporre il presente con la memoria del passato, e danno drammatica
consistenza ad un conflitto drammatico che dura da cinquant’anni.
Si tratta, per dirla con il Papa, di un
“luogo
benedetto e sacro dell’incontro di Dio con gli uomini”
,
ma anche di un luogo di odio e di violenza. Dentro questa lacerante
constatazione vengono suggeriti
“negoziati
risolutori”.

Non
si può riflettere sul pensiero e sull’azione di Giovanni Paolo II
senza far sosta sulle modalità  altamente drammatiche con le quali
egli si oppose con sforzi immani alla seconda guerra del Golfo. Visti
inutili gli sforzi diplomatici, dispiegati sia mediante interventi di
tipo diplomatico verso l’amministrazione Americana, che tuttavia
George Bush non aveva accettato, sia mediante interventi diretti
attraverso l’invio del Card. Etchegaray in Iraq, egli si fece vera
icona vivente della drammatica inutilità di quella guerra, apparendo
alla finestra del suo colloquio con i fedeli, come una tragica
maschera di dolore, e gridò al mondo, e soprattutto ai giovani,
l’inutilità della guerra. Ancora una volta lo abbiamo sentito
ritornare alla sua esperienza di giovane polacco, che vede la sua
generazione trascinata in un gorgo di morte e di distruzione. A nulla
valse,  come sappiamo, il suo impegno per scongiurare la guerra,
rivelatasi come ogni guerra, ovunque voglia svilupparsi, ma in
particolare la cosiddetta ‘guerra preventiva’ contro l’Iraq, un
atto che ha distrutto persone umane e ricchezze, ha posto un paese
alla mercé dei suoi vicini, facendolo diventare campo di battaglie
di fazioni politiche e di lobby economiche. Aprendo purtroppo il
campo a ulteriori tragedie, di cui sono vittime le minoranze
culturali e religiose, tra cui i cristiani.

c)
La preghiera

La
preghiera per la pace non è un elemento che « viene dopo»
l’impegno per la pace. Richiamata nei due testi, ma molto più
sviluppata nel messaggio del 2002, ad essa viene riconosciuto un
valore fondamentale di dialogo e di ricerca dello Spirito del
Signore, di responsabilità e di fiducia, di dono e di accoglienza.
La preghiera non delega ma fa acquisire impegno e coinvolgimento.
Essa sta al cuore dello sforzo per l’edificazione di una pace
nell’ordine, nella giustizia e nella libertà.
“Pregare
per la pace significa aprire il cuore umano all’irruzione della
potenza rinnovatrice di Dio. Dio, con la forza vivificante della sua
grazia, può creare aperture per la pace là dove sembra che vi siano
soltanto ostacoli e chiusure; può rafforzare e allargare la
solidarietà della famiglia umana, nonostante lunghe storie di
divisioni e di lotte. Pregare per la pace significa pregare per la
giustizia, per un adeguato ordinamento all’interno delle Nazioni e
nelle relazioni fra di loro. Vuol dire anche pregare per la libertà,
specialmente per la libertà religiosa, che è un diritto
fondamentale umano e civile di ogni individuo. Pregare per la pace
significa pregare per ottenere il perdono di Dio e per crescere, al
tempo stesso, nel coraggio che è necessario a chi vuole a propria
volta perdonare le offese subite”.

VI
Gli operatori di pace

Intendo,
da ultimo, indicare  un altro elemento che ha contraddistinto lo
stile con cui Giovanni Paolo II per la durata del suo pontificato ha
esortato i fedeli di tutto il mondo alla pace. A partire dai
frequenti richiami alla sua esperienza personale, il magistero sulla
pace non è mai retorico o puramente teorico; al contrario il Papa
provoca le coscienze dei singoli affinché ciascuno si trasformi in
un operatore di pace, coraggioso e responsabile. Scorrendo i testi
dei messaggi per la giornata della pace di questi anni, vi si trovano
citate con particolare attenzione alcune categorie di persone cui il
Papa assegna un ruolo di grande importanza e incisività.

a)
I giovani

Fu
in occasione di uno dei primi messaggi (1985) che Giovanni Paolo II
tratteggiò l’irrinunciabile ruolo delle nuove generazioni, alle
cui fondamentali scelte morali è legato il futuro della pace e
quindi dell’umanità intera.

Facendo
risuonare più volte l’invito ad accantonare ogni forma di paura o
sfiducia, e facendo affidamento sul grande desiderio di pace e di
giustizia che caratterizza l’età della giovinezza, il Papa invita
i giovani a trovare risposte vere alle domande che inevitabilmente
essi si trovano dinanzi: qual è la vostra idea di uomo? Che cosa
costituisce la grandezza di un essere umano? E ancor più in
profondità: chi è il vostro Dio?

Qualsiasi
siano le risposte a questi interrogativi, esse segneranno
l’orientamento della vita di ogni giovane e, di conseguenza, i
valori sui quali si andrà costruendo l’intera società. A questo
proposito, non basta accontentarsi di un istintivo desiderio di pace,
ma esso deve essere “trasformato in una ferma convinzione morale,
che abbraccia tutto l’ambito dei problemi umani e costruisce valori
profondamente apprezzati”.

b)
La donna

Basandosi
sulla considerazione da lui stesso già espressa nella lettera
apostolica
Mulieris
Dignitatem
,
secondo la quale alla donna è affidato da Dio in maniera speciale
l’essere umano, Giovanni Paolo II invita ogni donna ad assumere il
ruolo di educatrice di pace. In profonda comunione e perfetta
reciprocità con l’uomo, la donna deve essere messa nelle
condizioni di trasmette in pienezza i suoi doni all’intera
comunità, per aiutarla a riflettere meglio sulla sostanziale unità
della famiglia umana.

Proprio
perché nel corso della storia umana la donna ha pagato il prezzo più
alto della mancata realizzazione dell’originario progetto di Dio
sulla coppia, può ora testimoniare l’anelito verso la pace e
partecipare alla sua realizzazione, anche mediante l’assunzione di
responsabilità pubbliche.

c)
I cristiani

Al
termine dei suoi messaggi, Giovanni Paolo II si rivolge quasi sempre
in maniera diretta ai fedeli cristiani, offrendo loro indicazioni
concrete sul modo propriamente cristiano di operare per la pace, la
giustizia, la solidarietà, la libertà, ecc.

L’impegno
del cristiano si fonda sulla verità del Vangelo, la cui sorgente
profonda è Gesù, Verbo di Dio incarnato: egli “è la nostra pace”
(Ef 2,14), è dono di pace per tutti gli uomini e colui che dichiara
beati gli operatori di pace (Mt 5,9).

Ne
consegue che, ad esempio, la libertà non deriva dall’uomo, ma si
manifesta per un cristiano nell’obbedienza alla volontà di Dio e
nella fedeltà al suo amore. Lo stesso vale per la giustizia e la
solidarietà, che devono essere modellate sull’esempio di Cristo,
sintetizzabile nella famosa regola d’oro: “Fate agli uomini tutto
quanto voi vorreste che essi facciano a voi” (Mt 7,12).

Al
cristiano spetta anche il compito di riscoprire la forza della
preghiera: essa permette di accogliere la grazia che trasforma i
cuori e impegna a conformare la propria vita alla Parola di Dio. Ma
pregare è anche entrare nell’azione di Dio sulla storia,
parteciparvi con l’intercessione e l’instancabile impegno
personale.

Pregare
per la pace

L’ansia
e la tristezza, purtroppo già tante volte espresse per la guerra in
corso nella regione del Golfo, continuano ad essere alimentate dai
perduranti combattimenti, ai quali si aggiungono, ora, anche
catastrofici rischi ambientali. Le vittime, civili e militari, e le
enormi distruzioni, rendono sempre più grande e più intenso il
dolore e noi tutti siamo invitati a rivolgerci al Signore con
maggiore insistenza e fede: è il grande ricorso a disposizione di
chi crede e spera nella misericordia divina.

2.
Preghiamo innanzitutto per la pace: che Dio ce la conceda al più
presto, illuminando i responsabili in modo che abbandonino quanto
prima un simile cammino non degno dell’umanità e ricerchino con
fiducia la giustizia tramite il dialogo e i negoziati! (…)

Preghiamo
ancora per e con tutti i credenti, appartenenti alle tre religioni
che trovano nel Medio Oriente le loro radici storiche: ebrei,
cristiani e musulmani. La fede nel medesimo Dio non deve essere
motivo di conflitto e rivalità, ma di impegno a superare nel dialogo
e nella trattativa i contrasti esistenti. Che l’infinito Amore del
Creatore aiuti tutti a capire l’assurdità di una guerra in nome Suo
ed infonda nel cuore di ognuno veri sentimenti di fiducia,
comprensione e collaborazione per il bene dell’intera umanità!”

Giovanni
Paolo II, Angelus del 27 gennaio 1991

Conclusioni

Cercando
di sintetizzare il pensiero di Giovanni Paolo II a proposito della
pace e dei temi ad essa connessi, così che se ne possa arricchire la
conoscenza e la vita spirituale dei credenti, mi sembra di poter
rilevare da un lato una grande e appassionata attenzione ai grandi
valori universali che accomunano le religioni, le culture e i diversi
sistemi di pensiero, che si traduce nella perseverante richiesta di
pace per tutti.

D’altro
canto, il Papa può far conto della dottrina contenuta nel Concilio
Vaticano II, là dove (Lumen Gentium n. 8), si legge: «
la
chiesa che contiene nel proprio seno i peccatori, è santa e insieme
sempre bisognosa di purificazione, e sempre persegue lo sforzo di
pentimento e di rinnovamento
».
Così viene introdotto nel pensare del cristiano il senso della
responsabilità a proposito della storia che egli vive, a riguardo
del suo presente. Si tratta di riconoscere qui la premessa della
capacità di perdonare e di impostare il rapporto con altre fedi e
altre culture dal punto di vista del perdono reciproco.

Con
tutto ciò, meglio comprendiamo come il Papa Giovanni Paolo II non si
stanca di richiamare i cristiani alla centralità di Gesù che,
abbattendo ogni muro di separazione, mostra la possibilità reale,
concreta e non generica di un impegno per la pace universale.