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Wangari vive in tutte le donne africane

 


L’ambientalista kenyana Wangari Maathai, fondatrice del Green Belt Movement nel 1977, premio Nobel per la pace 2004 (prima donna africana a esserne insignita), è morta la notte scorsa in un ospedale di Nairobi. Da oltre un anno, stava combattendo contro il cancro. Aveva 71 anni.
Wangari Maathai (1940-2011)

 

Addio alla “Nobeldonna africana”

 
Professoressa di anatomia veterinaria, era salita alla ribalta per le sue campagne contro la deforestazione appoggiata dal governo in Kenya a fine anni 80 e 90. Il suo movimento ha piantato oltre 40 milioni di piante in ogni regione dell’Africa. Per oltre un decennio, ha combattuto contro il regime dittatoriale dell’ex presidente Daniel arap Moi, chiedendo la liberazione di numerosi prigionieri politici. Più volte manifestazioni da lei capeggiate furono disperse con gas lacrimogeni. Dopo la fine del regime di Moi, nel 2002, fu eletta al parlamento kenyano. Dal 2003 al 2005 fu anche viceministro dell’ambiente.
Nata a Nyeri nel 1940, è tra le prime bambine del gruppo etnico kikuyu a frequentare la scuola della vicina missione locale. Superate brillantemente le elementari, le medie e le superiori, contro la volontà dei genitori, chiede alla Kennedy Foundation un biglietto aereo gratis per gli Stati Uniti e l’ottiene. Vola ad Atchison, Kansas. Si presentò alla porta del Collegio di S. Scolastica, tenuto dalle suore benedettine. Suor Kathleen Egan, ricorda: «Arrivò con niente in tasca; solo una piccola borsa con dentro un paio di abiti. Capii subito, però, che portava con sé una grande mente e una spiccata personalità. Le demmo volentieri una borsa di studio».
Wangari trascorre quattro anni con le suore. Più tardi, in un articolo autobiografico, scriverà: «Ogni sacrosanto giorno, vedevo quelle donne lavorare sodo per scopi superiori e per la pace interiore. Il loro stile di vita e la loro visione del mondo hanno avuto un influsso determinante sulla mia coscienza e sulla scelta dei valori che avrei fatto durante il resto della mia vita». Quasi per osmosi, assorbe la pax benedectina e ne fa motivo di vita fino a personificarla: pace come benessere totale per tutti e per tutto, cosmo incluso; quando vedrà sofferenza nell’umanità e nella terra, lei farà qualcosa per alleviarla ed eliminarla.
Nel 1964, ottiene il diploma in biologia. Passa quindi all’università di Pittsburgh, Pennsylvania, e si laurea nel 1966. Torna, poi, in Kenya e fa ricerca veterinaria all’università di Nairobi, dove, nel 1971, consegue il dottorato in scienze biologiche. È la prima donna dell’Africa Orientale e Centrale ad arrivare così in alto nel campo accademico.
Si sposa con un parlamentare. Hanno tre figli. Negli anni Ottanta, però, divorzieranno, dopo che il marito l’avrà accusata di essere «troppo colta, troppo forte, troppo donna di successo, troppo caparbia, e troppo difficile da controllare».
Nel 1976, è a capo del dipartimento di veterinaria e anatomia animale. I colleghi maschi la guardano in cagnesco. Non la vogliono? Bene: lei andrà altrove. L’anno seguente, abbandona l’università e dà inizio al Movimento della Cintura Verde (Green Belt Movement). Cominciando dal giardino di casa, dove pianta un alberello; poi fa la stessa cosa nel bel mezzo del mercato locale. Alle amiche che la guardano spiega: «Voglio lottare contro il taglio indiscriminato degli alberi, la sparizione della foresta, l’erosione del terreno, la desertificazione, l’inquinamento delle acque; e anche contro la povertà, la fame, la schiavitù delle donne, costrette a camminare per ore in cerca di legna da ardere». Le invita a fare altrettanto:«Non serve un titolo di studio per capire certe cose, né conoscenza accademica per farne altre».
Nascono i primi vivai in molti villaggi della provincia centrale. Poi l’iniziativa si estende in tutto il Kenya. Arrivano i primi ambientalisti scandinavi: estasiati davanti a centinaia, migliaia di donne divenute “provette forestali senza diploma”, promettono finanziamenti. Wangari ha un’idea: «Le piantine sono gratis. Anche il lavoro delle donne lo è. Un incentivo, comunque, non guasterebbe». Da allora, per ogni piantina piantata e sopravvissuta per tre mesi, le donne riceveranno alcuni scellini.
Il movimento piace anche agli uomini, perfino ai capi politici. Il governo (di soli uomini) mette a disposizione di Wangari alcuni locali pubblici nella capitale e il ministero delle foreste s’impegna a provvedere le piantine gratis. Finché le donne si limitano a piantare alberi, non c’è nulla da temere. Tanto più che, in pochi anni, i vivai diventano 6.000 e le “forestali senza diploma” 80mila: tutte potenziali voti al momento delle elezioni. E i nuovi alberi piantati – forse 30 milioni – non possono che far piacere ad alcune eminenze grigie del governo: le loro segherie potranno continuare a disboscare indiscriminatamente.
Opposizione
Ma Wangari ha ben altro in testa. Dice: «Non si tratta soltanto di rimboschire il paese, ma anche di lottare per la democrazia e il rispetto dei diritti umani». Vuole dare alle donne quel “potenziamento” che è loro negato dai leader politici e lo fa attraverso seminari, laboratori, dimostrazioni e giornate ecologiche in cui si coniugano scienza, impegno sociale e attività politica. La Cintura Verde diventa, così, una rete d’iniziative riguardanti anche l’educazione e formazione della donna, la pianificazione familiare e la lotta alla corruzione. E piace anche all’estero: le donne di Tanzania, Uganda, Malawi, Lesotho, Etiopia e Zimbabwe l’adottano.
Gli ambientalisti di tutto il mondo cominciano ad apprezzarla. Arrivano numerosi riconoscimenti, tra cui il premio della Fondazione Goldman (1991), l’equivalente del premio Nobel per gli ecologisti. Ma il premio più gradito glielo insigniscono le donne africane, dandole il titolo di “liberatrice”.
In Kenya, però, c’è già una persona che si considera “il” liberatore: il presidente Daniel arap Moi. Che guarda Wangari dapprima con sospetto, poi con preoccupazione. Nel 1989, il primo scontro frontale. C’è un piano per un grattacielo di 60 piani proprio nel parco centrale della capitale, l’Uhuru Park. Costo preventivato: 200 milioni di dollari. Wangari urla: «Uhuru significa libertà, ma questo grattacielo ne è l’esatto opposto, perché distruggerà l’ultima isola verde della capitale. I soldi – tasse dei cittadini – potrebbero essere spesi meglio in educazione e nello sradicamento della povertà». Il luogo è già cintato. Wangari, però, chiede aiuto a organismi umanitari internazionali e il progetto viene abbandonato.
La vittoria costa caro, sia a lei che al movimento. La Cintura Verde è buttata fuori dai locali governativi. Le squadre di Moi distruggono molti vivai. Viene orchestrata una campagna denigratoria contro Wangari. Moi la definisce pubblicamente «pazza».
Chi scrive s’è trovato a vivere in Kenya in quegli anni, e ricorda il livello di volgarità cui giunsero ministri e parlamentari: «Minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale», «una marionetta lunatica al soldo di interessi stranieri», una «mostruosità senza precedenti»… La colpirono perfino nella sua femminilità: «Dopo tutto, non l’ha forse il marito scacciata? La circoncideremo noi con la forza, così imparerà a comportarsi come una vera donna».
Affermazione
Ma lei continua la sua battaglia. È tra i fondatori dal Forum per la restaurazione della democrazia in Kenya e diventa la portavoce dei prigionieri politici. Nel 1992, durante una manifestazione la polizia la pesta fino a renderla inconscia. Nello stesso anno, è accusata di «attività sovversive» e imprigionata. Nel 1997, è in prima linea nel tentativo di unire l’opposizione a Moi. Si candida perfino alle presidenziali, ma i capi del partito cui s’è iscritta la snobbano. Due anni più tardi, è di nuovo malmenata dalle forze dell’ordine, quando tenta di piantare alberi nella foresta di Karura, presso Nairobi.
Nel dicembre 2002, nelle elezioni che portano al potere Mwai Kibaki, è eletta al parlamento come rappresentante del distretto di Nyeri (98% delle preferenze). Il nuovo presidente la nomina viceministro dell’Ambiente, dove si scontra subito con la sua squadra. Quando un investitore americano chiede di poter costruire un hotel a cinque stelle nella foresta di Karura, lei tuona: «Mai!». L’investitore le mostra il contratto già firmato con il governo precedente, ma Wangari lo straccia.
La mattina dell’8 ottobre 2004, una telefonata dell’ambasciatore norvegese a Nairobi le comunica che è premio Nobel per la Pace 2004. La “pazza” e “la mostruosità senza precedenti” gioisce. E gioiscono tutte le donne della Cintura Verde. Lei fa tre telefonate ai figli. La quarta è per suor Kathleen Egan.

Nigrizia – 26/09/2011