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Un’economia disarmata per il Recovery Plan

Cari amici e amiche, quando si parla di Next Generation EU o Recovery Plan, manca quasi sempre un ragionamento sulla necessità del disarmo.

Da quel che si sa, fino ad oggi il Recovery plan rischia di dare troppo spazio alla competitività del sistema produttivo legato alle armi. Il Ministero dello sviluppo economico, con l’allora ministro Patuanelli, proponeva richieste sostanziose per potenziare la “filiera industriale aerospaziale e della difesa” sotto l’etichetta “industria sostenibile”. Il Mise chiedeva 12,5 miliardi che, secondo la “Rivista italiana difesa”, dovrebbero servire a produrre i cacciabombardieri Tempest, i sottomarini U-212 NFS, le nuove unità anfibie, i nuovi cacciatorpedinieri e gli elicotteri di nuova generazione FVL, “una sorta di F-35 ad ala rotante”. Non meno inquietante era ed è la comparsa dei termini “intelligenza artificiale” e “unmanned” (senza equipaggio), che possono riferirsi allo sviluppo dei famigerati “killer robots”.
E’ assurdo che questi progetti concorrano ai fondi per la ripartenza quando ospedali e scuole sono sempre in affanno, molti territori patiscono il dissesto idrogeologico e molte aziende stentano a ripartire o muoiono. Non è questa la sostenibilità auspicata. Non è questo il modo migliore per il rilancio dell’economia o per garantire la nostra sicurezza. Un docente della Cattolica come l’economista Raul Caruso direbbe che solo un’economia di pace può essere foriera di progresso economico in un’ottica di lungo periodo (cfr ad esempio il suo Economia della pace, il Mulino 2017). Se invece di fare la corsa agli armamenti facessimo la corsa verso la sicurezza sanitaria, scolastica, alimentare, lavorativa, ambientale? Nel convegno di luglio in Vaticano su “Preparare il futuro. Costruire la pace al tempo del Conid-19”, l’economista suor Alessandra Smerilli si chiedeva: “Ha senso continuare a fare massicci investimenti in armi se poi le vite umane non possono essere salvate perchè mancano le strutture sanitarie e le cure adeguate?”. In quella sede, richiamandosi al magistero inascoltato del papa (intervenuto anche il 25 settembre con un accorato appello all’ONU), il card. Turkson proponeva di “congelare la produzione e il commercio delle armi“. Ma sembra che le priorità siano altre. Utili, allora, anche se incomplete, sono le 12 proposte della Rete italiana pace e disarmo (RIPD)  volte a definire come interesse nazionale il co-sviluppo con i popoli del sud del mondo, la soluzione negoziale dei conflitti, la riconversione dell’industria militare (a partire dal Sulcis iglesiente), la creazione di una Difesa civile non armata e nonviolenta. Chi porrà mano ad esse? Non ci può essere transizione ecologica senza riduzione e una graduale riconversione delle enormi spese militari.

Sergio Paronetto