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O costruiremo insieme l’avvenire nella pace e nella giustizia o non ci sarà futuro

Francesco di Roma sul cammino di Francesco d’Assisi

La visita del papa negli Emirati Arabi è stata accompagnata dalla pubblicazione del Documento storico “Sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” , firmato dal papa e da Al Tayyeb,  rettore del’Università egiziana Al-Azhar, dove si imposta in modo rivoluzionario l’idea di pluralismo e di cittadinanza umana (consigliamo di leggerlo a parte come il più avanzato strumento di dialogo interreligioso). Di seguito, invece,  riportiamo parte del discorso del papa pronunciato il 4 febbraio 2019 al Founders Memorial di Abu Dhabi che parte dal ricordo della visita di s. Francesco (1219) al sultano d’Egitto (s.p.).

Con animo riconoscente al Signore, nell’ottavo centenario dell’incontro tra San Francesco di Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil, ho accolto l’opportunità di venire qui come credente assetato di pace, come fratello che cerca la pace con i fratelli. Volere la pace, promuovere la pace, essere strumenti di pace: siamo qui per questo.

Il logo di questo viaggio raffigura una colomba con un ramoscello di ulivo. È un’immagine che richiama il racconto del diluvio primordiale, presente in diverse tradizioni religiose. Secondo il racconto biblico, per preservare l’umanità dalla distruzione Dio chiede a Noè di entrare nell’arca con la sua famiglia. Anche noi oggi, nel nome di Dio, per salvaguardare la pace, abbiamo bisogno di entrare insieme, come un’unica famiglia, in un’arca che possa solcare i mari in tempesta del mondo: l’arca della fratellanza.

Il punto di partenza è riconoscere che Dio è all’origine dell’unica famiglia umana. Egli, che è il Creatore di tutto e di tutti, vuole che viviamo da fratelli e sorelle, abitando la casa comune del creato che Egli ci ha donato. Si fonda qui, alle radici della nostra comune umanità, la fratellanza, quale «vocazione contenuta nel disegno creatore di Dio»[1]. Essa ci dice che tutti abbiamo uguale dignità e che nessuno può essere padrone o schiavo degli altri […].

Vari interrogativi, tuttavia, si impongono: come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una fratellanza non teorica, che si traduca in autentica fraternità? Come far prevalere l’inclusione dell’altro sull’esclusione in nome della propria appartenenza? Come, insomma, le religioni possono essere canali di fratellanza anziché barriere di separazione?

La famiglia umana e il coraggio dell’alterità   Se crediamo nell’esistenza della famiglia umana, ne consegue che essa, in quanto tale, va custodita. Come in ogni famiglia, ciò avviene anzitutto mediante un dialogo quotidiano ed effettivo. Esso presuppone la propria identità, cui non bisogna abdicare per compiacere l’altro. Ma al tempo stesso domanda il coraggio dell’alterità[4], che comporta il riconoscimento pieno dell’altro e della sua libertà, e il conseguente impegno a spendermi perché i suoi diritti fondamentali siano affermati sempre, ovunque e da chiunque. Perché senza libertà non si è più figli della famiglia umana, ma schiavi. Tra le libertà vorrei sottolineare quella religiosa. Essa non si limita alla sola libertà di culto, ma vede nell’altro veramente un fratello, un figlio della mia stessa umanità che Dio lascia libero e che pertanto nessuna istituzione umana può forzare, nemmeno in nome suo.

Il dialogo e la preghiera   Il coraggio dell’alterità è l’anima del dialogo, che si basa sulla sincerità delle intenzioni. Il dialogo è infatti compromesso dalla finzione, che accresce la distanza e il sospetto: non si può proclamare la fratellanza e poi agire in senso opposto. Secondo uno scrittore moderno, «chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne, arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di se stesso, né degli altri»[5] […] Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace.

L’educazione e la giustizia  Torniamo così all’immagine iniziale della colomba della pace. Anche la pace, per spiccare il volo, ha bisogno di ali che la sostengano. Le ali dell’educazione e della giustizia. L’educazione – in latino indica l’estrarre, il tirare fuori – è portare alla luce le risorse preziose dell’animo. È confortante constatare come in questo Paese non si investa solo sull’estrazione delle risorse della terra, ma anche su quelle del cuore, sull’educazione dei giovani. È un impegno che mi auguro prosegua e si diffonda altrove. Anche l’educazione avviene nella relazione, nella reciprocità. Alla celebre massima antica “conosci te stesso” dobbiamo affiancare “conosci il fratello”: la sua storia, la sua cultura e la sua fede, perché non c’è conoscenza vera di sé senza l’altro. Da uomini, e ancor più da fratelli, ricordiamoci a vicenda che niente di ciò che è umano ci può rimanere estraneo[7]. È importante per l’avvenire formare identità aperte, capaci di vincere la tentazione di ripiegarsi su di sé e irrigidirsi. Investire sulla cultura favorisce una decrescita dell’odio e una crescita della civiltà e della prosperità. Educazione e violenza sono inversamente proporzionali. Gli istituti cattolici – ben apprezzati anche in questo Paese e nella regione – promuovono tale educazione alla pace e alla conoscenza reciproca per prevenire la violenza.   I giovani, spesso circondati da messaggi negativi e fake news, hanno bisogno di imparare a non cedere alle seduzioni del materialismo, dell’odio e dei pregiudizi; imparare a reagire all’ingiustizia e anche alle dolorose esperienze del passato; imparare a difendere i diritti degli altri con lo stesso vigore con cui difendono i propri diritti. Saranno essi, un giorno, a giudicarci: bene, se avremo dato loro basi solide per creare nuovi incontri di civiltà; male, se avremo lasciato loro solo dei miraggi e la desolata prospettiva di nefasti scontri di inciviltà.

La giustizia è la seconda ala della pace, la quale spesso non è compromessa da singoli episodi, ma è lentamente divorata dal cancro dell’ingiustizia. Non si può, dunque, credere in Dio e non cercare di vivere la giustizia con tutti, secondo la regola d’oro: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti» (Mt 7,12).

Pace e giustizia sono inseparabili! Il profeta Isaia dice: «Praticare la giustizia darà pace» (32,17). La pace muore quando divorzia dalla giustizia, ma la giustizia risulta falsa se non è universale. Una giustizia indirizzata solo ai familiari, ai compatrioti, ai credenti della stessa fede è una giustizia zoppicante, è un’ingiustizia mascherata!  Le religioni hanno anche il compito di ricordare che l’avidità del profitto rende il cuore inerte e che le leggi dell’attuale mercato, esigendo tutto e subito, non aiutano l’incontro, il dialogo, la famiglia, dimensioni essenziali della vita che necessitano di tempo e pazienza. Le religioni siano voce degli ultimi, che non sono statistiche ma fratelli, e stiano dalla parte dei poveri; veglino come sentinelle di fraternità nella notte dei conflitti, siano richiami vigili perché l’umanità non chiuda gli occhi di fronte alle ingiustizie e non si rassegni mai ai troppi drammi del mondo.

Il deserto che fiorisce   Dopo aver parlato della fratellanza come arca di pace, vorrei ora inspirarmi a una seconda immagine, quella del deserto, che ci avvolge. Qui, in pochi anni, con lungimiranza e saggezza, il deserto è stato trasformato in un luogo prospero e ospitale […]. È con questo spirito che, non solo qui, ma in tutta l’amata e nevralgica regione mediorientale, auspico opportunità concrete di incontro: società dove persone di diverse religioni abbiano il medesimo diritto di cittadinanza e dove alla sola violenza, in ogni sua forma, sia tolto tale diritto.

Smilitarizzare il cuore e la politica di potenza armata. Una convivenza fraterna, fondata sull’educazione e sulla giustizia; uno sviluppo umano, edificato sull’inclusione accogliente e sui diritti di tutti: questi sono semi di pace, che le religioni sono chiamate a far germogliare. Ad esse, forse come mai in passato, spetta, in questo delicato frangente storico, un compito non più rimandabile: contribuire attivamente a smilitarizzare il cuore dell’uomo. La corsa agli armamenti, l’estensione delle proprie zone di influenza, le politiche aggressive a discapito degli altri non porteranno mai stabilità. La guerra non sa creare altro che miseria, le armi nient’altro che morte!

La fratellanza umana esige da noi, rappresentanti delle religioni, il dovere di bandire ogni sfumatura di approvazione dalla parola guerra. Restituiamola alla sua miserevole crudezza. Sotto i nostri occhi sono le sue nefaste conseguenze. Penso in particolare allo Yemen, alla Siria, all’Iraq e alla Libia. Insieme, fratelli nell’unica famiglia umana voluta da Dio, impegniamoci contro la logica della potenza armata, contro la monetizzazione delle relazioni, l’armamento dei confini, l’innalzamento di muri, l’imbavagliamento dei poveri; a tutto questo opponiamo la forza dolce della preghiera e l’impegno quotidiano nel dialogo. Il nostro essere insieme oggi sia un messaggio di fiducia, un incoraggiamento a tutti gli uomini di buona volontà, perché non si arrendano ai diluvi della violenza e alla desertificazione dell’altruismo. Dio sta con l’uomo che cerca la pace. E dal cielo benedice ogni passo che, su questa strada, si compie sulla terra.


[1] Benedetto XVI, Discorso a nuovi Ambasciatori presso la Santa Sede, 16 dicembre 2010.  [2] Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2015, 2.

[3] Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 5. [4] Cfr Discorso ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la Pace, Al-Azhar Conference Centre, Il Cairo, 28 aprile 2017. [5] F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, II, 2, Milano 2012, 60. 6] Udienza Generale interreligiosa, 28 ottobre 2015.  [7] Cfr. Terenzio, Heautontimorumenos I, 1, 25.