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Riflessione sulle Shoà, di ieri e di oggi

Carmelo Salanitro

Il 27 gennaio si commemora la Shoà, l’orrendo sterminio di 6 milioni di ebrei da parte della follia nazista. Fare memoria dell’olocausto è un dovere imprescindibile della nostra civiltà. Può essere opportuno rammentare che nel secolo scorso sono stati vittime di spaventosi genocidi anche il popolo armeno agli inizi del novecento e le etnie hutu e tutsi tra Rwanda e Burundi, ripetutamente, nella seconda metà del secolo.
Ricordare quanto è accaduto è altamente educativo per le nuove generazioni, come monito affinché tragedie simili non abbiano più a ripetersi. Non è quindi solo un commosso ricordo di quanti brutalmente persero la vita e i loro sogni, o del dolore incancellabile dei familiari e dei sopravvissuti. E’ qualcosa di più: è un avvertimento perché gli uomini, dotati di ragione, non cadano nuovamente in questi errori mostruosi.
Ma neanche questo è sufficiente.
La memoria dell’olocausto ebraico (e anche dell’eliminazione di zingari e altre categorie di “diversi”) ci invita contemporaneamente ad analizzare la realtà di oggi, a vigilare, a valutare se altre “shoà” siano in atto al tempo presente o minaccino di ripetersi in mutati contesti geografici, sociali e politici. Sarebbe veramente pura e vuota retorica commemorare il passato senza nemmeno curarsi se tragedie simili stiano avvenendo anche nel presente.
Naturalmente questo impone anche la riflessione su altri meccanismi di shoà, al di là dell’eliminazione fisica brutale, a volte meno riconoscibili, ma il cui terribile risultato è alla fine simile.
Tale riflessione implica non soltanto i focolai di guerra, ma anche le loro cause e chi ne sia responsabile. A cerchi concentrici, al di là dei conflitti bellici veri e propri, dovremmo chiederci quali sono le cause della povertà, della fame, della malnutrizione, delle carestie da cambiamenti climatici. E’ doveroso individuare i responsabili di queste disgrazie e denunciarli. L’esito di questi mali sono infatti altrettante shoà, di cui non si parla e che restano nascoste nei sotterranei della storia e delle vicende umane.
Inoltre, contrariamente al passato, non è più lecito oggi dire che non sappiamo o che non possiamo farci niente, perché attraverso vari mezzi odierni di comunicazione e il loro uso appropriato, possiamo essere consapevoli in tempo reale di ciò che accade in qualsiasi punto del globo.
Certamente, tutto questo richiede analisi, discernimento, senso critico, capacità e strumenti di azione. Queste funzioni e competenze sono oggi disponibili, attraverso le attività giornalistiche, la forza delle associazioni e della società civile, per non parlare dei governi e delle forze politiche, che dovrebbero proprio svolgere questo compito, ma la cui credibilità spesso è assai dubbia.
Se le forze migliori dell’umanità vogliono…, si può fare.
Gli esempi di shoà, purtroppo, oggi non mancano.
Negli ultimi 20 anni nella Repubblica Democratica del Congo le vittime uccise nelle guerre civili assommano a circa 5-6 milioni, prevalentemente nelle regioni dei laghi, nella parte orientale del Paese. La straordinaria ricchezza mineraria (diamanti, coltan, oro, uranio, zinco, stagno, nichel, gas, petrolio) ha scatenato continue guerre civili tra gruppi armati (inclusi quelli governativi), dietro i quali si agitano gli interessi delle multinazionali. Di queste risorse alla popolazione congolese arriva poco o niente, mentre i lavoratori delle miniere vengono sfruttati in modo disumano. I minerali vengono perlopiù esportati in modo irregolare nei Paesi limitrofi (Rwanda, Burundi, Uganda), che se ne avvantaggiano in abbondanza. Di recente, poi, nel sud-est del Paese si è affacciata la Cina, interessata alle miniere di cobalto e di rame nello Stato del Katanga. I beneficiari ultimi sono poi sempre gli stessi: noi occidentali, o meglio, la parte ricca della popolazione mondiale, che utilizza questi metalli preziosi ottenuti a basso costo per fare profitti altissimi. Nel frattempo il Congo resta una delle nazioni più povere e sottosviluppate del pianeta.
Da diversi anni è in atto nello Yemen una devastante guerra civile, che oltre a causare decine di migliaia di morti, ha provocato nella popolazione una gravissima crisi umanitaria sotto tutti gli aspetti (alimentare, sanitaria, ecc.). Come ormai tutti sanno, in Sardegna vengono prodotte bombe che, vendute all’Arabia Saudita, vengono poi lanciate sulla popolazione yemenita. A quanto pare, la palese violazione della nostra legge 185/90 che proibisce la fornitura di armi a Paesi belligeranti non turba minimamente il governo italiano. Ogni commento è superfluo.
Sono esempi devastanti, ma si potrebbe fare un lungo elenco di guerre e terrorismo, la cui analisi riempirebbe molte pagine: il genocidio Rohingya in Myanmar, Libia, Siria, Iraq, Palestina, Afghanistan, Sud-Sudan, Somalia e l’intero Corno d’Africa, la questione irrisolta del Sahara Occidentale, Repubblica Centrafricana, Mali, Nigeria, ecc. e molti altri ecc.
Oltre ai responsabili diretti delle guerre, vi sono anche tanti complici: chi produce e vende le armi, chi sa e tace, gli appetiti delle multinazionali, l’ipocrisia delle diplomazie internazionali, l’indifferenza.
Guerre e terrorismo, come si sa, portano con sé altri effetti “collaterali”, quali povertà, malnutrizione, epidemie, altre emergenze sanitarie.
Se il risultato sono milioni di morti (ed è così), non sono tutte queste delle shoà? E non dobbiamo forse evitarle, dal momento che ci sgomenta lo sterminio degli ebrei? I Congolesi sono meno importanti degli ebrei, sono di categoria B? O sono meno importanti perché neri e lontani? Ma dire lontano oggi non ha più senso, in un mondo globalizzato, dove tutto sembra essere a portata di mano. O la globalizzazione è solo tecnologica e commerciale, e non umana? Possiamo accettare questo?
Sono del tutto evidenti le responsabilità dei Paesi occidentali, dei loro governi, delle multinazionali (in prima linea il cosiddetto complesso militar-industriale), che a loro volta influenzano gli stessi governi e il sistema economico mondiale. Questo intreccio perverso causa l’iniqua distribuzione della ricchezza, il disastro economico, i flussi migratori dei disperati, l’impoverimento del sud del mondo cronicamente depredato dal ricco nord. Le conseguenze negative di questo processo per l’umanità intera sono incalcolabili.
Come ci interroga tutto questo?
Così come noi oggi ci chiediamo “dov’era l’umanità quando veniva sterminato il popolo ebraico”, tra pochi decenni chi viene dopo di noi si chiederà “dov’erano le ricche società ‘occidentali’, quando intere popolazioni subivano il flagello della guerra, quando milioni di persone soffrivano e morivano di fame, quando innumerevoli bambini soccombevano a malattie facilmente curabili? E quando tutti questi disastri erano associati a ben noti ‘effetti collaterali’, quali violenze e soprusi di ogni genere, sfruttamento delle fasce più deboli, povertà, fenomeno dei bambini-soldato, flussi migratori che ’davano tanto fastidio’? E non sapevano forse tutto? Sì, erano consapevoli. E cosa hanno fatto?”
Naturalmente il problema ha una sua complessità, e non è possibile risolvere il dibattito con formule semplici. Al tempo stesso, neanche è possibile rifugiarsi in alibi di comodo.
Può forse servire, in conclusione, fare un riferimento, anche se banale, alla nostra comune vita quotidiana. Chi potrebbe negare che fare festa è un aspetto importante del nostro vivere una piena umanità condivisa con gli altri, anche stando allegramente a tavola? Tuttavia, la nostra coscienza viene per forza interrogata quando, a fronte di una situazione mondiale in netto peggioramento, nelle nostre società il “troppo cibo” diventa addirittura un problema, o quando durante le festività l’abbondanza è tale che non riusciamo neanche a mangiare tutto quello che ci ritroviamo sulle nostre tavole ben imbandite. Allora sicuramente qualcosa non va, dovremmo percepire un campanello di allarme.
E’ davvero giunto il momento, a partire dalle macerie di una crisi generale dell’umanità, di tentare di costruire una società universale più umana, dignitosa e civile, in linea con la nostra ragione e con il nostro senso etico.
Ci vorrà un po’ di tempo, ma bisogna pur intraprendere il cammino.
Vincenzo Pezzino

N.B.
L’immagine nell’articolo è quella del prof. Carmelo Salanitro, nato ad Adrano (CT) il 30 ottobre 1894 e morto nel Campo di concentramento di Mauthausen il 24 aprile 1945.
Docente di latino e greco, si oppose al fascismo diffondendo nascostamente volantini contrari al regime. Scoperto e denunciato il 14 novembre 1940, fu arrestato e condannato il 25 febbraio 1941 a 18 anni di carcere per “Propaganda antinazionale, offese al duce e a Hitler”. Dopo l’8 settembre 1943 fu prelevato dal carcere di Sulmona, consegnato alle autorità naziste e deportato in diversi campi di concentramento. Fu ucciso in una camera a gas a Mauthausen il 24 aprile 1945. E’ una vittima italiana dell’olocausto.