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Incontro con il comboniano padre Franco Nascimbene a Catania

Incontro con padre Franco Nascimbene a Catania

Il 27 novembre scorso si è svolto un interessante e coinvolgente incontro con padre Franco Nascimbene, missionario comboniano, presso la parrocchia del Crocifisso della Buona Morte, organizzato dal punto pace di Catania e dalla rete cittadina “Restiamo umani/Incontriamoci”.
Significativamente, l’incontro aveva per titolo “L’agire creativo nel conflitto locale e nel conflitto globale”, perfettamente in sintonia con l’esperienza raccontata da padre Franco, da decenni missionario in America Latina, particolarmente in Ecuador e in Colombia.
Egli ci ha raccontato la sua esperienza di pace e di stile di vita, povero tra i poveri, nelle periferie e nelle bidonville latino-americane, in un ambiente violento.
Ha articolato la sua narrazione in quattro momenti.
Per prima cosa ci ha illustrato il rapporto politico degli Stati Uniti con l’America Latina, in particolare la Colombia, premessa indispensabile per comprendere la storia recente e le complesse problematiche del momento attuale in quei Paesi.
Molte delle preoccupazioni degli Stati Uniti sono oggi rivolte ai bisogni di acqua potabile (perché presto scarseggerà), di energie rinnovabili (quanto durerà il petrolio?) e di biodiversità. Sembra che l’America Latina sia ricchissima di acqua potabile: nel sud dell’Argentina (dove molti privati americani stanno acquistando grandi estensioni di terreno); a cavallo delle frontiere tra Paraguay, Brasile e Argentina (qui l’acqua sarebbe in immensi giacimenti sotterranei); e la conca amazzonica, che abbraccia diversi Paesi e che come tutti sanno costituisce una enorme riserva di acqua. Su quest’ultimo punto padre Franco ha precisato che il governo degli Stati Uniti preme perché l’intera conca amazzonica sia dichiarata territorio mondiale (e non appartenente ai singoli stati), per poterne meglio controllare le risorse.
Gli interessi degli Stati Uniti in Colombia sono enormi. Un esempio paradossale è il rifornimento di cocaina, proprio dalla Colombia, per gli ex-soldati americani del Vietnam, schiavi della droga. Il narcotraffico condannato a parole, viene poi proprio favorito nella sostanza per altri scopi. Mentre la Colombia è da sempre stata filo-statunitense, non lo sono affatto i Paesi confinanti (si pensi al Brasile di Lula e di Dilma Roussef, al Venezuela di Chavez e poi di Maduro, e anche all’Ecuador). Per tale motivo su tutte queste frontiere colombiane sorgono numerose basi americane che controllano l’area amazzonica. Per di più, in queste basi operano milizie mercenarie, al servizio degli USA, ma non identificabili con l’esercito americano, dotati di massima libertà di movimento, senza alcun controllo, pronti a intervenire per fare il lavoro sporco che altri non possono fare.
Come secondo momento, in termini sintetici padre Franco ha poi analizzato il complesso intreccio tra narcotraffico, gruppi armati, guerriglia della FARC e governo colombiano. Gruppi armati e narcotrafficanti praticamente coincidono, e obbligano i contadini a produrre coca, coltivazione per converso proibita dal governo. Per di più, contro la volontà dei contadini, sui campi vengono riversati diserbanti che distruggono anche le coltivazioni utili al sostentamento. Il risultato è la fuga dei contadini verso l’urbanizzazione (bidonville), mentre le multinazionali si mostrano interessate alle aree abbandonate per produrre carburante attraverso le risorse agricole.
Alla lotta armata della FARC, nel corso della pluridecennale guerra civile colombiana, si sono contrapposti i gruppi armati dei latifondisti, finché nel 2010, un po’ a sorpresa, il nuovo presidente colombiano Santos apre al dialogo, con la mediazione di Cuba (sede del negoziato) e della Norvegia. Il risultato, dopo cinque anni, è la firma della pace, che include la fine della produzione di coca e la consegna delle armi da parte dei guerriglieri, con la promessa di riforma agraria e di reinserimento nel mondo del lavoro. Il momento attuale è molto delicato, perché finora dei provvedimenti governativi si è visto poco e nel frattempo è stato eletto un nuovo presidente, maggiormente filo-statunitense.
Nella terza parte del racconto si inserisce l’esperienza personale del nostro missionario comboniano.
In America Latina dal 1983, dopo una esperienza nella foresta ecuadoriana, a suo dire ancora troppo confortevole, decide di adottare uno stile di vita di povero tra i poveri e si trasferisce alla periferia di Guayaquil, sul mare, sempre in Ecuador, in un quartiere di palafitte collegate alla terraferma tramite ponticelli di legno. Gli abitanti, infatti, privi di alcuna risorsa, costruiscono le palafitte utilizzando i fusti di un bosco di mangrovie i cui alberi crescono appunto dal fondo del mare. Lì, con un confratello, ha rinunciato a qualsiasi aiuto europeo e ha vissuto come venditore ambulante. Ha scelto di produrre e vendere per il proprio sostentamento latte di soia. Tale attività lo impegnava per circa quattro ore al giorno e per il resto della giornata svolgeva attività pastorale presso le famiglie, fondando piccole comunità di preghiera e ascolto alla luce della Parola di Dio. Ha condiviso così esattamente la stessa vita della povera gente, senza telefono, elettricità, TV, acqua potabile, servizi igienici. Si riforniva di acqua andando sulla terraferma con un recipiente, come tutti, quando passava l’autobotte. Per vedere un programma televisivo o per riporre un cibo in frigorifero funzionava la solidarietà tra vicini, sulle palafitte o sulla terraferma. Dal canto suo la sua porta era sempre aperta, tanto non c’era niente da rubare.
Padre Franco ci ha così spiegato come la prospettiva cambia completamente quando si legge la Bibbia con gli occhi del povero, quando si è povero tra i poveri. Alla “scuola dei poveri” si comprende meglio il Vangelo e come esso sia appunto per i poveri.
Quando ha lasciato questo quartiere di Guayaquil gli abitanti erano molto dispiaciuti, ma non tanto perché sarebbe mancata la sua catechesi, ma perché se ne andava uno di loro. Se pioveva e l’acqua entrava nelle case, sarebbe entrata anche nella casa di quel padre; e se c’era un’invasione di topi, anche nella sua palafitta ci sarebbero stati i topi, e così via.
Da alcuni anni padre Franco si è trasferito nella periferia di Bogotà, a 2700 metri di altezza. L’ambiente è quindi completamente diverso, ma sono rimasti identici lo stile di vita, la povertà, la condivisione, la solidarietà tra poveri. Ci ha raccontato, per esempio, di una donna poverissima, Nuri, che pur senza possedere nulla, aveva accolto nella sua misera casetta un’altra donna più giovane, che aveva bisogno di un tetto.
Padre Franco continua a vivere con la vendita del latte di soia. Anche in questa località visita le famiglie e fonda piccole comunità. Con il tempo si sono unite a lui, e condividono la sua vita e il suo tetto, due suore e una laica, incuriosite e attratte dal suo stile di vita e dalla sua attività pastorale. Nella zona dove opera comanda un gruppo armato, con il quale è riuscito a stabilire un certo equilibrio, grazie al quale viene rispettato. Dopo alcune vicende e l’intervento della polizia, sembra che si sia realizzato un compromesso che tollera la presenza di coca, ma con il bando assoluto delle armi.
Padre Franco afferma di ricevere molte visite e molte domande su come riesca a vivere così, e perché, in un’area tra l’altro abitata esclusivamente da neri. Lui risponde che la sua povertà è un po’ come una provocazione. Telefono, TV, computer, elettricità non sono in sé cose cattive, ma “non riempiono il cuore”. Se si vuole essere creduti (e credibili), bisogna vivere come si predica, ed essere povero tra i poveri.
Infine, come quarto momento da lui previsto, padre Franco si è aperto al dialogo con i presenti. L’incontro è stato molto partecipato e dal numeroso pubblico non sono mancati apprezzamenti, domande e richieste di chiarimenti.