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Giovani in Puglia sulle orme di don Tonino

Al termine del viaggio nelle terre della Puglia, guidate dalle testimonianze sulla vita di don Tonino, e dopo un rientro per alcuni durato 24 ore, cosa ci portiamo a casa?
Spieghiamo chi siamo. Siamo 16 ragazzi, giovani e non più giovani, che abbiamo deciso di partecipare al campo del collettivo di Pax Christi. Quest’esperienza ci ha portato a visitare non solo i luoghi di don Tonino e della bellezza della Puglia ma anche i luoghi segnati da ingiustizia, corruzione, abusivismo e sofferenza.
L’arrivo è segnato dalla visita a Cerignola delle “abitazioni” dei braccianti. Come spiegare a chi non ha mai visto? E’ difficile. Lo è non perché io trovi difficoltà nel descrivere le loro condizioni ma perché ho paura che le persone possano non credere alle mie parole. Questo villaggio infatti dista solamente dieci minuti di macchina dal centro cittadino e non è un segreto per nessuno, ma se mi avessero bendato e mollato lì in mezzo avrei giurato di essere finita in qualche villaggio dell’Africa. Il giro di perlustrazione lo facciamo guidati dal dottor Enzo che insieme ad altri medici volontari hanno fondato l’associazione “Medici col Camper”. Questi si occupano di portare assistenza sanitaria ai braccianti direttamente nelle baraccopoli. A causa del caporalato e della loro condizione irregolare per lo stato, a quelle persone è consentito lasciare quel posto solo per lavorare nei campi e non certo per cercare un medico disposto a curarli. Quest’associazione andando direttamente lì riesce a far fronte al problema, seppur con mezzi molto limitati e con un’assente aiuto dello stato.
Ma il problema delle loro condizioni non è causato dalla loro irregolarità né dalle aziende agricole che decidono di appoggiarsi al caporalato. Quello su cui bisogna puntare il dito è ben più in alto. Il dottor Enzo ci ha posto delle domande: come può una passata di pomodoro costare meno della bottiglia che la contiene? Di chi è la colpa di tutto ciò? Chi è che ci sta guadagnando e chi rimettendo? Chi sono i veri caporali e chi gli schiavi?
Schiavi sono i braccianti che arrivano scappando da povertà, guerra e miseria pensando di arrivare in Italia e poter lavorare onestamente ed invece si ritrovano a dover vivere nella sporcizia, senza acqua corrente (il comune di Cerignola porta dei bidoni d’acqua ogni due giorni ma sono insufficienti all’igiene personale), senza corrente elettrica e soggetti alla violenza dei caporali che li costringono a cedere la metà di quello che guadagnano: dei 20 euro per 12 ore di lavoro, 10 li devono cedere obbligatoriamente ai caporali per un panino e per il trasporto altrimenti non si lavora, trasporto fatto in pulmini arrangiati alla meglio, spesso senza assicurazione, come tutta Italia ha potuto vedere nel caso dell’incidente che ha portato alla morte dei 12 braccianti nel foggiano. Schiave sono le aziende agricole che, vittime dell’asta al ribasso, per non fallire sono costrette ad assumere i braccianti del caporalato.
Caporali sono anche le grandi aziende che lavorano quei pomodori e che con le aste al ribasso alimentano una guerra tra poveri, tra i braccianti stessi che vedono in quei dieci euro la loro unica fonte di sussistenza, tra braccianti e caporali perché quest’ultimi oltre a sfruttare decidono chi lavora e chi no, tra le aziende agricole costrette a lavorare nell’illegalità. Caporale è lo stato che non interviene con normative che regolino questo processo, legale sì, ma cieco e immorale che porta povertà nelle nostre terre. Caporali siamo anche un po’ noi che decidiamo di acquistare beni al prezzo sempre più basso senza pensare la catena di ingiustizie e anche senza pensare al contenuto perché spesso il costo minore è giustificato da una produzione dislocata e il made in Italy ne soffre costringendo l’illegalità.
Questa una piccola finestra sui fatti che accadono nelle campagne di Cerignola ma anche di altre realtà. Cosa possiamo fare concretamente? Sicuramente avere più attenzione negli acquisti, realtà di cooperative che producono pomodori legalmente ce ne sono e negli scaffali del supermercato si trovano i loro prodotti, basta avere più occhio critico nella lettura delle etichette distogliendo gli occhi per un attimo dall’olio di palma o dal gluten free. E poi più impegnativo ma necessario iniziare a pretendere delle normative. Commuoversi guardando i braccianti non basta, forse è arrivato il momento di agire. O almeno sostenere chi lotta per questo.
Lasciamo Cerignola e Molfetta, terra segnata dal ricordo di don Tonino e dalle testimonianze vive di chi lo ha conosciuto. Vive perché la sua memoria è attiva nel rendere questi testimoni veri lottatori per la giustizia e la pace, e ancora la sua figura e le sue parole non sono solo un simbolo da portarsi a casa, ma uno sprono (uno scrupolo, per dirla con le sue parole) che ci spinge a muoverci nei nostri territori di appartenenza per cercare il marcio e provare a sistemarlo.
Ci spostiamo verso sud, la prima tappa è Porto Selvaggio. Qui ascoltiamo la storia di Renata Fonte e nella piccola baia ci immergiamo nel mar Ionio. E’ grazie a Renata che possiamo farlo. Se non ci fosse stata lei e altre persone così determinate oggi probabilmente per raggiungere quella spiaggia avremmo dovuto pagare qualche ricco industriale. La bellezza del territorio, come le vite umane vanno preservate, è questo l’insegnamento di Renata. Queste parole fortunatamente sono accolte da altri lottatori per la giustizia, da altre sentinelle della pace. E uno di loro è Giuseppe Maggiore che conosciamo a Otranto. Con lui, tutore del “Parco Naturale Regionale Costa Otranto, Santa Maria di Leuca e Bosco Tricase”, grande esperto di quel territorio sia per la storia sia per la composizione delle rocce, della flora e della fauna. Visitiamo prima la cava di bauxite, poi la torre di Sant’Emiliano e nuovamente possiamo assaporare le bellezze del mare e delle piccole baie tra gli scogli. Giuseppe ci racconta anche storie di immigrazione oltre che di lotta per la difesa del territorio. Tra gli scogli troviamo anche un giaccone probabilmente appartenuto a qualche migrante. Non è l’unico reperto trovato lungo le spiagge ma anzi è frequente trovare altri capi d’abbigliamento, documenti o qualsiasi oggetto perso nella fretta di approdare a questa terra che dovrebbe essere di salvezza.
Ultima tappa del viaggio è Gallipoli, ospitati nella parrocchia di don Salvatore Leopizzi. Oltre al grande calore dimostratoci da don Salvatore e da tutta la comunità della parrocchia, possiamo essere noi testimoni di un’accoglienza verso un gruppo di circa 10 uomini in difficoltà. Lavoratori che si trovano in condizioni difficili e non hanno un posto dove dormire. Nella parrocchia di sant’Antonio da Padova a Gallipoli hanno trovato un rifugio per la notte, qualcuno che invece di notte lavora lo trova per il giorno, per avere un po’ di riposo e la possibilità di farsi una doccia. Così abbiamo conosciuto molte storie e molti volti come quella di Alpha, diciotto anni dalla Guinea, in Italia da un anno ma con una padronanza della lingua da far tremare qualche leghista, diplomato al liceo linguistico sogna di studiare Scienze Politiche per cambiare il mondo.
La cosa più importante di questa comunità guidata da don Salvatore è l’incontro che lui è riuscito ad attuare tra due mondi: italiani e migranti. La sua è una testimonianza che dovrebbe essere ascoltata e imitata. La sua è una voce di speranza e di fiducia che in ogni uomo c’è del bene; quello che ha fatto è stato solo dare l’occasione ad ogni uomo buono di attuare quel bene. Così la signora Agata, cittadina pugliese ci ha raccontato con semplicità e con orgoglio di come la comunità abbia partecipato alle colazioni collettive dopo la messa per incontrare gli ospiti della casa di accoglienza. Quei migranti per loro, adesso, non sono più una minaccia. Non li vedono più con paura, ma con gli occhi di una donna anziana che guarda un ragazzo di diciotto anni costretto a fuggire, ad attraversare il deserto e il mare per seguire una speranza, e l’unico pensiero che sale alla mente è cosa posso fare per aiutarlo? E allora si prepara cibo, si preparano i letti, si aiuta a pulire, ma anche si ascoltano le loro storie nel centro di accoglienza e si aiuta loro a trovare lavoro e scuole. Elsa morante diceva che l’unica frase d’amore è “hai mangiato?” e io, come molti italiani, so dall’infanzia con nonne, zie e parenti vari che questa frase è vera e insita nel nostro DNA, bisogna solo trovare l’occasione per dirla, il cibo non ci manca.

Monica Roccanello, Padova