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Senza parole

Disarmo, pace, nonviolenza sono oggi le grandi parole assenti dalla’ economia, dalla politica, dal linguaggio. Ma noi, operatori di pace, accettiamo di restare senza parole?

Assenza n. 1 nella manovra finanziaria. Nessun accenno a una riduzione delle spese o delle basi o delle missioni militari o a una riconversione parziale dell’ industria bellica. Anni fa Roul Follereau chiedeva alle due superpotenze un bombardiere in meno per sconfiggere la lebbra. Quasi nessuno oggi chiede qualche F-35 in meno per spese sociali o per la cooperazione internazionale. La campagna di “Pax Christi” e della Rete Disarmo è pienamente attuale. Ma è fragilissima.

Assenza n. 2 nel dibattito economico. I “nove impegni” per lo sviluppo proposti da “Il Sole 24 Ore” il 16 luglio, apprezzati dal presidente Napolitano, contengono elementi interessanti ma non prevedono le parole disarmo, riconversione o simili. Sembrano parole tabù, parole non negoziabili, avvolte da un manto sacrale intoccabile.

Assenza n. 3 nel linguaggio “democratico”. Un recente studio sul lessico degli italiani, promosso dall’Osservatorio Demos-Coop, rileva il diffondersi di un linguaggio post berlusconiano con parole miti come energia pulita, solidarietà, bene comune, partecipazione, merito, unità nazionale…Il clima politico sembra rinnovarsi. L’aria mentale si fa più pulita. E’ vero che bene comune e solidarietà contengono la pace. Ma la pace collegata al disarmo o alla nonviolenza non c’è o non è ancora parola comune operativa tra i giovani “progressisti”.

Conclusione. L’azione comune degli operatori di pace è da re-inventare. Con un calmo determinato impegno quotidiano. Le parole hanno bisogno di attori capaci di “dirle” e di tradurle. Altrimenti, osserva il sociologo Ilvo Diamanti, “rischiano di perdere significato. E di perdersi, a loro volta. Lasciandoci sperduti. Senza parole”.

Sergio Paronetto
18 luglio 2011