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Pace come dono, sfida e impegno

papa-francesco-udienza-generaleDopo il grande Messaggio sulla nonviolenza del 1 gennaio 2017 (che andrebbe letto, riletto e sviluppato), su cui è caduto un imbarazzante o distratto silenzio, papa Francesco è intervenuto più volte sul tema della pace nonviolenta. Riporto qualche riga del saluto al corpo diplomatico del 9 gennaio 2017. (s.p.)

“Edificare la pace esige anche che «si eliminino le cause di discordia che fomentano le guerre», a cominciare dalle ingiustizie. Infatti, esiste un intimo legame fra giustizia e pace. «Ma – osservava san Giovanni Paolo II– poiché la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, esposta com’è ai limiti e agli egoismi personali e di gruppo, essa va esercitata e in certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati. […] Il perdono non si contrappone in alcun modo alla giustizia [ma] mira piuttosto a quella pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità dell’ordine, la quale […] è risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per un tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali»….
Occorre un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa. Ciò implica saper coniugare il diritto di «ogni essere umano […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse», e nello stesso tempo garantire la possibilità di un’integrazione dei migranti nei tessuti sociali in cui si inseriscono, senza che questi sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti…
Nemica della pace è una “visione ridotta” dell’uomo, che presta il fianco al diffondersi dell’iniquità, delle disuguaglianze sociali, della corruzione.
Nella sua Enciclica Populorum progressio, di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario, il beato Paolo VI ricordava come tali disuguaglianze provochino discordie. «Il cammino della pace passa attraverso lo sviluppo» che le autorità pubbliche hanno l’onere di incoraggiare e favorire, creando le condizioni per una più equa distribuzione delle risorse e stimolando le opportunità di lavoro soprattutto per i più giovani. Nel mondo ci sono ancora troppe persone, specialmente bambini, che soffrono per endemiche povertà e vivono in condizioni di insicurezza alimentare – anzi di fame –, mentre le risorse naturali sono fatte oggetto dell’avido sfruttamento di pochi ed enormi quantità di cibo vengono sprecate ogni giorno.
I bambini e i giovani sono il futuro, sono coloro per i quali si lavora e si costruisce. Non possono venire egoisticamente trascurati e dimenticati. Per tale ragione, come ho richiamato recentemente in una lettera inviata a tutti i vescovi, ritengo prioritaria la difesa dei bambini, la cui innocenza è spesso spezzata sotto il peso dello sfruttamento, del lavoro clandestino e schiavo, della prostituzione o degli abusi degli adulti, dei banditi e dei mercanti di morte…
Penso ai ragazzi e alle ragazze che subiscono le conseguenze dell’atroce conflitto in Siria, privati delle gioie dell’infanzia e della giovinezza: dalla possibilità di giocare liberamente all’opportunità di andare a scuola. A loro e a tutto il caro popolo siriano va il mio costante pensiero, mentre faccio appello alla comunità internazionale perché si adoperi con solerzia per dare vita ad un negoziato serio, che metta per sempre la parola fine al conflitto, che sta provocando una vera e propria sciagura umanitaria. Ciascuna delle parti in causa deve ritenere come prioritario il rispetto del diritto umanitario internazionale, garantendo la protezione dei civili e la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione. Il comune auspicio è che la tregua recentemente firmata possa essere un segno di speranza per tutto il popolo siriano, che ne ha profonda necessità.
Ciò esige anche che ci si adoperi per debellare il deprecabile commercio delle armi e la continua rincorsa a produrre e diffondere armamenti sempre più sofisticati. Notevole sconcerto destano gli esperimenti condotti nella penisola coreana, che destabilizzano l’intera regione e pongono inquietanti interrogativi all’intera comunità internazionale circa il rischio di una nuova corsa alle armi nucleari. Rimangono ancora molto attuali le parole di san Giovanni XXIII nella Pacem in terris, allorché affermava che «saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari». In tale prospettiva, anche in vista della prossima Conferenza sul Disarmo, la Santa Sede si adopera per promuovere un’etica della pace e della sicurezza che vada al di là di quella paura e “chiusura” che condiziona il dibattito sulle armi nucleari.
Anche per quanto riguarda gli armamenti convenzionali, occorre rilevare che la facilità con cui non di rado si può accedere al mercato delle armi, anche di piccolo calibro, oltre ad aggravare la situazione nelle diverse aree di conflitto, produce un diffuso e generale sentimento di insicurezza e di paura, tanto più pericoloso, quanto più si attraversano momenti di incertezza sociale e cambiamenti epocali come quello attuale.
Nemica della pace è l’ideologia che fa leva sui disagi sociali per fomentare il disprezzo e l’odio e che vede l’altro come un nemico da annientare. Purtroppo nuove forme ideologiche si affacciano continuamente all’orizzonte dell’umanità. Mascherandosi come portatrici di bene per il popolo, lasciano invece dietro di sé povertà, divisioni, tensioni sociali, sofferenza e non di rado anche morte. La pace, invece, si conquista con la solidarietà. Da essa germoglia la volontà di dialogo e la collaborazione, che trova nella diplomazia uno strumento fondamentale… [a Cuba, in Colombia, in Venezuela, Medio Oriente, Iraq e in Yemen, fra Israeliani e Palestinesi, Libia, Sudan, Sud Sudan, Centro Africa, Congo, Myanmar, Cipro, Ucraina]…
L’Europa intera sta attraversando un momento decisivo della sua storia, nel quale è chiamata a ritrovare la propria identità. Ciò esige di riscoprire le proprie radici per poter plasmare il proprio futuro. Di fronte alle spinte disgregatrici, è quanto mai urgente aggiornare “l’idea di Europa” per dare alla luce un nuovo umanesimo basato sulle capacità di integrare, di dialogare e di generare, che hanno reso grande il cosiddetto Vecchio Continente. Il processo di unificazione europea, iniziato dopo il secondo conflitto mondiale, è stato e continua ad essere un’occasione unica di stabilità, di pace e di solidarietà tra i popoli…
Eccellenze, Signore e Signori, edificare la pace significa anche adoperarsi attivamente per la cura del creato. L’Accordo di Parigi sul clima, entrato recentemente in vigore, è un segno importante del comune impegno per lasciare a chi verrà dopo di noi un mondo bello e vivibile. Auspico che lo sforzo intrapreso in tempi recenti per fronteggiare i cambiamenti climatici trovi una sempre più vasta cooperazione di tutti, poiché la Terra è la nostra casa comune e occorre considerare che le scelte di ciascuno hanno ripercussioni sulla vita di tutti…
Cari Ambasciatori, la pace è un dono, una sfida e un impegno. Un dono perché essa sgorga dal cuore stesso di Dio; una sfida perché è un bene che non è mai scontato e va continuamente conquistato; un impegno perché esige l’appassionata opera di ogni persona di buona volontà nel ricercarla e costruirla. Non c’è, dunque, vera pace se non a partire da una visione dell’uomo che sappia promuoverne lo sviluppo integrale, tenendo conto della sua dignità trascendente, poiché «lo sviluppo è il nuovo nome della pace». Questo è dunque il mio auspicio per l’anno appena iniziato: che possano crescere fra i nostri Paesi e i loro popoli le occasioni per lavorare insieme e costruire una pace autentica. Da parte sua, la Santa Sede, e in particolare la Segreteria di Stato, sarà sempre disponibile a collaborare con quanti si impegnano per porre fine ai conflitti in corso e a dare sostegno e speranza alle popolazioni che soffrono.