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Le nuove armi. Droni armati, tutti i dubbi etici

Relativamente economici, apparentemente efficaci, indubbiamente sicuri, almeno per chi li brandisce. Sono i droni, aerei senza pilota dalla tecnologia non particolarmente raffinata, in grado di volare molto più a lungo di un velivolo con pilota, anche al di fuori dalle zone di conflitto. Per raccogliere informazioni, ma anche – se armati – effettuare bombardamenti teoricamente mirati, che provocano sistematicamente vittime tra civili innocenti. Soprattutto quando si tratta di esecuzioni extragiudiziali di presunti terroristi. Per gli Stati Uniti il margine di errore è ‘solo’ del 3-4%. Calcoli indipendenti parlano dell’11-15%. Un centinaio di ‘morti per sbaglio’ (tra 64 e 116) – ammette Washington – su 2.372 o 2.581 nemici uccisi in 473 attacchi. Secondo stime di ong invece gli errori oscillerebbero tra 380 e 801. È la guerra mondiale a pezzi, non dichiarata, senza eserciti né campi di battaglia. Che apre spazi enormi all’uso delle nuove tecnologie belliche. Ed è un mercato globale in espansione: dai 486 milioni di dollari nel 2016 si potrebbe arrivare nel 2021 a 980. Enormi gli interrogativi giuridici ed etici sull’uso e il commercio di queste armi. Anche perché a usarli, tra poco, saranno non solo i Paesi europei, ma anche diversi ‘stati canaglia’.

Il convegno di Archivio Disarmo e Controllarmi.
Tema delicatissimo e non eludibile quello al centro del convegno «Droni armati, quale controllo?» organizzato da Controllarmi-Rete Disarmo e da Archivio Disarmo. L’interrogativo etico è quello che ciclicamente si ripropone in questa era tecnologica: non è detto che ciò che è possibile fare si debba fare. Per questo Efad (European forum on armed drones), il forum europeo sui droni armati di oltre venti realtà della società civile (tra cui le italiane Controllarmi e Pax Christi) chiede a governi e istituzioni comunitarie – attraverso un documento programmatico – l’adozione di politiche trasparenti, la prevenzione di complicità negli attacchi coi droni, l’attivazione di strumenti di controllo, l’assunzione di responsabi- lità, il controllo sulla proliferazione.

Il documento programmatico dell’Efad
«I droni armati – recita l’appello – hanno fatto aumentare significativamente la pratica delle uccisioni mirate ed extragiudiziali» che accrescono il risentimento e «un maggiore supporto per gruppi armati extra statali». Dunque, «l’uso e la proliferazione crescente dei droni armati, in particolare negli Stati europei, configura un reale pericolo per la pace globale, la sicurezza e il diritto internazionale».

La strage delle armi teleguidate
«L’automazione del campo di battaglia è un sogno antico fin dai tempi di Federico II di Prussia, che aspirava alla guerra perfetta combattuta da ‘automi tiratori’», dice il sociologo Fabrizio Battistelli, presidente di Archivio disarmo, organizzatore dell’incontro assieme a Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Disarmo. «Un sogno diventato realtà» grazie a droni che però «pongono problemi giuridici, etici e politici». Philip Di Salvo, ricercatore e giornalista, spiega che per il New York Times «il numero dei raid è aumentato dai 50 della presidenza Bush ai 506 delle due amministrazioni Obama», ma 473 secondo la relazione ufficiale di luglio. Tra le vittime anche il cooperante italiano Giovanni Lo Porto, ucciso in Pakistan da un drone Usa nel 2015.

Vittime ufficiali o reali?
Diversi studi indipendenti giudicano troppo bassi i numeri ufficiali (tra 64 e 116) delle vittime civili. Per la fondazione New America tra 129 e 161, per il Bureau of investigative journalism di Londra addirittura tra 380 e 801, tra cui molti minori. Incerti i criteri con cui gli Usa individuano i «combattenti»: Almeno fino al 2012, afferma l’avvocato Jennifer Gibson dell’ong Reprieve , «tutti gli uomini in età adulta e arruolabili presenti in una zona colpita venivano conteggiati come ‘miliziani’» fino a prova contraria.

Quando l’obiettivo è un cellulare.
Errori frequenti dovuti anche al metodi di individuazione dei nemici: nel 2014 l’ex direttore della Cia Michael Hayden ha detto che gli obiettivi sono eliminati «sulla base dei metadati». Quelli ottenuti con le intercettazioni di massa americane e britanniche denunciate da Edward Snowden. Per la Gibson «i metadati non forniscono il contesto sufficiente a determinare se uno è un civile o un miliziano». «Il drone spesso non segue una persona – conferma Philip Di Salvo – ma una sim-card, senza la certezza che quel cellulare sia in tasca alla persona da assassinare». Una ong americana calcola che i droni hanno ucciso 10 volte più civili degli aerei pilotati.

I paesi che usano i droni.
Gli Usa impiegano i droni armati in Pakistan, Yemen, Somalia, Afghanistan, Iraq e Siria. Nel 2016 hanno stanziato 2,9 miliardi di dollari e ne possiedono circa 10 mila esemplari. Oggi sono però almeno 6 i paesi che si stanno armando di droni: Regno Unito, Isarele, Nigeria, Pakistan, Iran, Iraq, ben 86 quelli che hanno sviluppato questa tecnologia. L’Italia ha da diversi anni l’MQ- 1C Predator A+ e l’MQ- 9 Predator B Reaper. Disarmati e usati per ricognizione, come da autorizzazione del Parlamento. Ma nel 2015 l’Italia ha ottenuto dagli Usa la tecnologia per armarli: «Entro un paio di anni saranno armati», conferma il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore e presidente dello Iai.

Da Sigonella le missioni in Libia.
Il governo ha concesso la base di Sigonella per la partenza delle missioni dei droni americani in Libia. Secondo Camporini «ponendo condizioni stringenti solo per operazioni militari convenzionali». Il militare spiega che «un consorzio franco-britannico lavora a un aereo da combattimento senza pilota, mentre l’Italia progetta con Francia, Germania e Spagna un drone da ricognizione disarmato. Almeno per ora».

Fonte Luca Liverani “Avvenire” venerdì 25 novembre 2016

 

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