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Punto pace di Brescia – L’ “altra” Resistenza: una lezione per l’oggi

targa resistenza nonviolenta 1Il 18 aprile è stata inaugurata nei giardini  “ O. Fallaci”, in corso Magenta,  una targa in ricordo della Resistenza bresciana  non armata e nonviolenta. Purtroppo la stampa non ha dato sufficiente rilievo alla singolarità dell’evento (pochissime, infatti, sono nel nostro Paese le lapidi che fanno memoria dei protagonisti/e di questa lotta “altra”). Sulla targa è scritto:

 

ALLE DONNE E AGLI UOMINI BRESCIANI CHE RIFIUTARONO LA BRUTALITA’ DEI FASCISTI E DEGLI OCCUPANTI NAZISTI E CHE, SENZA ARMI, TESTIMONI DI COSCIENZA MORALE E CONSAPEVOLEZZA POLITICA, OFFRIRONO ACCOGLIENZA, CONFORTO, AIUTO, ASSISTENZA, PROTEZIONE E RIFUGIO AI PARTIGIANI, AI MILITARI SBANDATI, AI RENITENTI ALLA LEVA, AI PERSEGUITATI POLITICI, AI RICERCATI, AGLI EBREI, AI PRIGIONIERI DI GUERRA IN FUGA”

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Questo riconoscimento era doveroso per rammentare una resistenza che fu, al di là delle apparenze, un’opposizione decisa, silenziosa, inerme ma non inerte. Si tratta di ricordare quelle migliaia di persone – la maggioranza delle quali rimaste senza nome – che di fronte all’occupante ed al collaborazionista, dissero di no al loro patto mortifero, seguendo la propria coscienza. Già con le leggi razziali del ’38 ma soprattutto dopo l’armistizio del ’43, oltre 30 mila ebrei furono protetti – con gravi rischi per chi li nascondeva – da una vasta rete di solidarietà diffusa (singoli, famiglie, istituzioni religiose).

targa resistenza nonviolenta 2

Già prima della caduta del fascismo (il 25 luglio), le maestranze dei grandi centri industriali del Nord erano scese in sciopero. E sino al 25 aprile continueranno a manifestare la loro contrarietà al regime proprio utilizzando forme di lotta non armata come il boicottaggio e il sabotaggio della produzione. Centinaia di migliaia di soldati italiani allo sbando furono rivestiti da capo a piedi da anonime donne per facilitare in questo modo il loro ritorno a casa.  Mentre migliaia di ex prigionieri alleati furono aiutati a riparare in Svizzera, a varcare il fronte a Sud o ad essere accolti in case ospitali.

Oltre 600 mila militari catturati dai nazisti e deportati nei lager in Germania  si rifiutarono di aderire all’esercito di Salò preferendo l’internamento, la fame e le umiliazioni al tradimento delle loro convinzioni. Quella che si sviluppò anche nelle nostre valli ed in città, fu un’opposizione popolare pronta ad aiutare i più indifesi come i ragazzi nati nel 1924/’25: la gran parte di loro non si presentò ai bandi di richiamo alle armi. Le loro famiglie li sostennero in una pericolosa latitanza, preludio, in molti casi, al loro avvio in montagna. Ricordare questa Resistenza, oggi, serve a riconoscerne l’attualità.  Il diritto alla resistenza nonviolenta, la sua legittimità morale e politica, vale, come abbiamo visto, nel contesto di un sistema totalitario ma anche in quello di un regime democratico se praticata sotto la forma della disobbedienza civile, dell’obiezione di coscienza ecc. E ciò quando una maggioranza discrimini minoranze sociali, politiche, religiose o etiche, oppure quando una maggioranza parlamentare che non sia anche maggioranza del popolo, faccia propri indirizzi e comportamenti formalmente legittimi, ma che nei fatti tendono a limitare i diritti politici, civili o sociali della maggioranza dei cittadini/e. Ricordare quindi anche “ l’altra” Resistenza, serve non solo ad una corretta ricostruzione storica, ma all’oggi, al qui e ora.