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Assemblea Mondiale di Pax Christi International Betlemme 2015

Pax Christi International celebra in questo 2015 il proprio 70° anniversario!
In questa occasione si è svolta l’assemblea mondiale del Movimento a Betlemme da Mercoledì 13 Maggio a Sabato 17 Maggio. La città di Betlemme è stata scelta come simbolo concreto dell’impegno di Pax Christi per la Pace e la riconciliazione.

Prima dell’inizio dei lavori, Pax Christi International si è profondamente rammaricata perché José Henríquez, il proprio segretario generale, non ha potuto unirsi a gli altri in tale occasione. L’ingresso in Palestina / Israele gli è stato infatti negato dalle autorità israeliane. L’assenza di José è stata una grande tristezza. Pax Christi International ha sostenuto e sostiene pienamente il proprio Segretario Generale. Conoscendolo come uomo integro, non riesce a pensare ad alcun motivo per il quale gli sia stato rifiutato l’ingresso.
Parlando da Amman, José ha espresso il suo forte disaccordo con la decisione dei funzionari di frontiera israeliana e ha aggiunto: “Sto vivendo questa esperienza in profonda solidarietà con il popolo palestinese. Questa è solo una piccola parte di quello che loro vivono quotidianamente, quando viene negato l’accesso a Gerusalemme Est per le cure mediche, riunioni di famiglia e anche per le celebrazioni religiose “.

Circa centocinquanta membri di Pax Christi, provenienti da tutto il mondo si sono riuniti nel luogo della nascita di Gesù, un luogo speciale di pace e di buona volontà per tutti, un luogo di profondo significato religioso per noi e per la pace nel mondo.
Qui è stato rinnovato l’ impegno per la giustizia e il perdono. Pace e giustizia per tutti.

Proprio nel corso dei lavori di Betlemme una TV italiana, TELEPACE, ha fatto un servizio sull’ assemblea…
A questo link potete vedere il video di circa 8 minuti in lingia italiana

Di seguito interventi e commenti da Betlemme:

Comunicato finale dell’Assemblea
Pax Christi International in favore del riconoscimento dello Stato Palestinese e per un divieto all’espansione di nuovi insediamenti nei territori occupati.

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L’assemblea mondiale di Betlemme conferma la propria posizione a fianco della lotta nonviolenta contro l’occupazione.
L’assemblea mondiale di Pax Christi International chiede con urgenza a tutti gli stati membri delle Nazioni Unite di muoversi per il riconoscimento dello Stato Palestinese e per la condanna degli insediamenti israeliani nei Territori Occupati.
I 160 partecipanti all’assemblea del Movimento cattolico internazionale per la pace che si è svolta a Betlemme dal 13 al 17 maggio scorso sono profondamente preoccupati dalla politica del governo israeliano che nega i diritti del popolo palestinese e quindi chiude ogni spiraglio alla possibilità di vedere riconosciuta l’esistenza di due Stati. Pax Christi International sostiene quindi la lotta non violenta del popolo palestinese e si schiera al fianco di coloro che, tra gli israeliani, sostengono il rispetto dei diritti umani e l’applicazione del diritto internazionale anche verso i Palestinesi.
Pax Christi accoglie con gioia il riconoscimento dello Stato palestinese da parte dello Stato Vaticano. Pax Christi considera tali accordi bilaterali un importante segno di quanto forte sia il desiderio che venga riconosciuta la necessità di arrivare alla creazione di due Stati. Con il nuovo governo israeliano non disponibile a trasformare il 22 % delle terre dell’ex mandato Britannico di Palestina nel nuovo Stato Palestinese, le Nazioni Unite devono dare prontamente esecuzione alla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza in forza della quale Israele deve ritirarsi dai territori occupati dopo il 1967.
Dato che il nuovo governo israeliano non pare intenzionato a sospendere l’espansione degli insediamenti nei territori occupati – grave violazione questa del diritto internazionale umanitario – ogni collaborazione con l’occupazione deve essere sospesa. Parti terze al conflitto come gli Stati Uniti, la Russia o gli stati membri dell’Unione Europea hanno la responsabilità di garantire la non violazione, in nome di quello stesso diritto, del Diritto Internazionale. Nel tentativo di rendere i Territori Occupati inutili per Israele, i prodotti di quei territori devono essere boicottati. Inoltre, essendo la Palestina un membro della Corte Penale Internazionale, i crimini di guerra possono essere immediatamente giudicati.
I partecipanti all’assemblea mondiale di Pax Christi, provenienti da tutti e cinque i continenti si sono uniti alla commemorazione della Nakba che ha avuto luogo a Betlemme. Essi hanno ricordato i 750.000 palestinesi che sono stati espulsi dalla loro terra tra il 1948 e il 1949 ad anche la Nakba ancora in corso, il pericolo di essere espulsi in ogni momento dalle proprie case. Nella valle del Giordano e a sud di Hebron si è fatto visita a villaggi di contadini che in ogni momento possono vedere le proprie case distrutte dall’esercito israeliano, sabotato il loro sistema idrico e la loro economia tutta se la comunità internazionale non riesce a fare in modo che questo non accada.
Pax Christi incoraggia tutti coloro che sia in Israele che in Palestina si impegnano per la difesa dei diritti umani e le organizzazioni pacifiste di entrambi i popoli a continuare il loro lavoro per il raggiungimento di una pace giusta in Medio Oriente basata sul rispetto dei diritti umani e sul diritto internazionale.
Senza speranza, prospettiva futura e solidarietà né gli oppressori, né gli oppressi possono trovare una via di uscita dalla violenza, dalla guerra e da una cultura di morte.
Stare dalla parte della vita è l’impegno e la responsabilità di Pax Christi International.

Testimonianze della delegazione italiana

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Pellegrini sul sentiero della pace
di Rosa Del Giudice

Dal 13 al 17 maggio u.s. si è svolta a Betlemme l’Assemblea Internazionale di Pax Christi dal titolo “Pellegrini sul sentiero della pace” per il 70° anniversario dalla sua fondazione.
La scelta di Betlemme, simboleggiata dalla basilica della Natività, non è casuale: la cittadina, in cui pacificamente convivono palestinesi cristiani e palestinesi mussulmani, è separata dal resto della Cisgiordania, occupata dallo Stato d’Israele durante la guerra dei sei giorni fin dal lontano 1967, da un muro che si erge minaccioso raggiungendo in alcuni punti l’altezza di 12 metri. Di conseguenza quanti intendono raggiungere Gerusalemme, che dista da Betlemme solo pochi chilometri, devono attraversare un checkpoint con controlli da parte di giovani soldatesse e soldati israeliani superarmati. E’ la dimostrazione più cruda e rivoltante della “globalizzazione dell’indifferenza”.
I lavori dell’Assemblea, che hanno registrato la presenza e la partecipazione di numerosi rappresentanti provenienti da tutti i continenti, si sono incentrati su 6 tematiche allusive di altrettanti sentieri: Diritti umani, promozione della dignità di ciascuno; Giustizia ecologica, promozione di una pace duratura; Giustizia e Riconciliazione, recupero della dignità conculcata dalla violenza e dall’ingiustizia; Smilitarizzazione; Educazione alla pace, camminare con i costruttori di pace; Le donne artefici della pace.
Ciascun sentiero ha seguito un processo in due fasi: interazione con una realtà locale; analisi delle realtà mondiali legate alla tematica in questione e scambio di esperienze.
Si è trattato di una preziosa opportunità di incontri, di riflessione e di approfondimento, di cui hanno potuto usufruire tre iscritte al Punto Pace di Pax Christi di Andria.
Il prossimo appuntamento mondiale è fissato per il 2020.

Assemblea internazionale di Pax Christi International a Betlemme
(maggio 2015)
di Lino Palumbo
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Con la Campagna Ponti e non Muri delegati di Pax Christi Italia si recano ogni anno in Cisgiordania compiendo dei pellegrinaggi di giustizia, ascoltando testimoni e portando spesso aiuto concreto e solidale.
Dal 13 al 20 Maggio la nostra delegazione ha prima partecipato all’Assemblea Internazionale del Movimento tenutasi a Betlemme, con oltre 160 delegati provenienti da diverse nazioni, e successivamente ha compiuto un tour in questa martoriata terra, visitando i luoghi più significativi dell’occupazione. Alla fine dell’Assemblea i partecipanti mediante il loro comunicato hanno chiesto il riconoscimento di uno Stato palestinese e la fine degli insediamenti colonici. Il nostro gruppo di delegati italiani, ascoltando i testimoni ha potuto capire come questi due aspetti sono nevralgici nel complicato processo di pace.
Nel villaggio di Al Masara l’attivista palestinese Mahoud ci ha spiegato le modalità di lotta nonviolenta del proprio villaggio, attraverso il cui territorio dovrebbe passare il Muro che cinge la città di Betlemme, separando il villaggio da quest’ultima. Ogni venerdì una marcia silenziosa si muove verso il check point formato dai militari a guardia del tracciato. Incuranti delle minacce gli abitanti del villaggio si avvicinano ai soldati cercando un confronto con loro; confronto che li mostra per quello che sono, uomini e donne coinvolti in un conflitto in cui spesso neanche loro credono. Questa modalità consente ai soldati di ragionare sulla giusta causa delle loro scelte, e per gli abitanti del villaggio costituisce un recupero della loro dignità di uomini e donne in lotta per la propria terra. La scelta di adottare un sistema nonviolento di risoluzione del conflitto, produce una trasformazione dello stesso, dalla prevaricazione sul nemico o presun to tale si passa al confronto ed al dialogo, la creatività diventa sistema di lotta.
Lo stesso tipo di lotta viene applicata per il ripristino degli uliveti, che distrutti con i bulldozer israeliani vengono ripiantati, coltivati e potati dagli abitanti del villaggio con ostinazione e speranza.
Anche Rashid, l’attivista del Jordan Solidarity Moviment che incontriamo nella Valle del Giordano, sceglie la nonviolenza come forma di lotta. Nel villaggio di Alluja nei pressi della città di Gerico, attua la propria forma di resistenza ricostruendo le case che l’esercito israeliano demolisce. Tutto il villaggio è coinvolto nella produzione di mattoni che avviene impastando il fango e per la cui produzione è stata costruita addirittura una macchina in grado di produrne circa 500 al giorno. Ancora una volta il processo di lotta nonviolenta attua una trasformazione, degli oppressori che vedono vanificarsi i loro sforzi di prevaricazione e degli oppressi che vedono crescere come singoli e come comunità l’autostima e la forza interiore. Proprio di forza interiore e speranza ci parla il Dr. Nidal, coraggioso medico di Betlemme che gestisce un poliambulatorio dove tutti, anche chi non è in grado di pagarsi le cure, vengono curati. Nidal ha conosciuto il carcere, sia lui che tutto il suo personale medico. Ha conosciuto la devastazione perpetrata dai militari israeliani che hanno fatto irruzione nel suo centro, ma nonostante tutto egli continua ogni giorno il suo lavoro, continua ogni giorno con l’aiuto dei suoi collaboratori ad assistere malati e famiglie. E’ proprio da questi testimoni che dobbiamo partire, Mahoud, Rashid, Nidal e tanti altri come loro rappresentano quella parte di Palestina che non si arrende, che non si piega alla disperazione ma al contrario ogni giorno lotta e spera per una terra in cui possano essere rispettati i diritti. Ma non è solo la società civile palestinese che si oppone all’occupazione, voci sempre più consistenti vengono da frange della società civile israeliana attraverso associazioni come Zochrot e Breaking The Silence. Abbiamo incontrato un esponente di quest’ultima formata da ex militari in congedo delle forze di sicurezza israeliane. Ci ha raccontato come molti di loro siano stati testimoni e perpetratori delle violenze commesse dall’esercito e come sempre più spesso i soldati sentano il bisogno di raccontare gli orrori commessi nella negazione dei più elementari diritti.
Diritti che vengono fortemente negati ai palestinesi della Cisgiordania che vivono a stretto contatto con gli insediamenti colonici. Le colonie, che rappresentano con molta probabilità l’ostacolo maggiore al processo di pace, sono di due tipi; insediamenti residenziali costruiti a ridosso delle città, oppure beni immobili confiscati ai palestinesi. Nel primo caso gli insediamenti occupano colline e vallate intorno alle città, come Betlemme e Ramallah, che sono sorte dalla confisca di terreni di proprietà palestinese. Con la costruzione del Muro i palestinesi hanno di fatto perso l’accesso a quelle terre. Nel secondo caso invece vi è la diretta confisca dei beni immobili all’interno delle città, come Hebron e Gerusalemme, in cui interi quartieri con case, strade, negozi diventano di proprietà israeliana. In questo caso la vicinanza delle parti in conflitto crea un importante problema di convivenza creando presupposto per i frequenti scontri.
Ma quali sono i motivi per cui la popolazione israeliana va a vivere nelle colonie? Lo Stato di Israele effettua una forte politica di incentivazione per chi sceglie di viverci. Alla base vi è il costo ridotto delle case, ma anche i servizi erogati come acqua, luce, trasporti, scuole sono concessi spesso in maniera gratuita. Tale politica favorisce anche l’immigrazione di Ebrei provenienti da altri paesi, molti anche dall’Europa dell’Est, stranieri quindi che si ritrovano ad avere diritti maggiori dei palestinesi proprietari di quelle terre. È un vero e proprio processo di pulizia etnica, la popolazione preesistente viene progressivamente messa in condizione di andare via rimuovendo loro e la loro cultura. Quel popolo, quel paese in qualche decennio non esisterà più creando una diaspora. Compito di noi europei non è di andare lì a dispensare consigli, ma è quello di ascoltare le loro esperienze ed istanze, attuando ogni forma di pressione verso la nostra società civile ed i nostro governi per far sentire la loro voce.

Francesco per il 70.mo di Pax Christi: servite la fraternità
da Radio Vaticana.va
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Il vostro incontro sia “un’occasione per aprire il cuore a Dio” e servirlo nelle comunità dove agite, perché la “vita sociale sia uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti”. Lo scrive Papa Francesco nel messaggio inviato, a firma del cardinale Pietro Parolin, ai 150 delegati di 30 nazioni membri di Pax Christi International, riuniti da ieri a domenica prossima a Betlemme per celebrare i 70 anni dalla fondazione del Movimento. Fra loro, il coordinatore di Pax Christi Italia, don Renato Sacco, che riassume, nell’intervista di Alessandro De Carolis, la missione e lo stile che in questi decenni hanno distinto l’azione del Movimento in tutto il mondo:
R. – Penso a tutto il lavoro per i diritti umani, soprattutto nell’America Centrale e nell’America del Sud. Oggi abbiamo qui con noi anche alcuni che arrivano dal Salvador: se pensiamo alle dittature argentine, tra poco alla Beatificazione di mons. Romero, Marianela García… quindi, tutto un lavoro di anni sui diritti umani. Assieme a questo, un lavoro di impegno contro la guerra e non dimentichiamo, non molti anni fa, il Premio Nobel alla campagna contro le mine antipersona, che allora fu ritirato a Oslo dal rappresentante di “Pax Christi Italia”. Assieme a questo, tutto un lavoro – per esempio – sull’obiezione di coscienza. In questo caso, penso soprattutto all’Italia, quando ancora non c’era la legge e gli obiettori andavano in prigione. Quindi, un lavoro che possiamo sintetizzare così: i diritti umani, i diritti dei popoli e delle persone, un “no” alla guerra e insieme una preghiera per continuare un cammino, certo in salita, della pace. Settant’anni fa e anche oggi.

D. – Guardando invece all’oggi e al domani, su quale via di pace vi sentite pellegrini per stare al titolo del vostro incontro a Betlemme?

R. – Abbiamo proprio terminato oggi una piccola e breve tavola rotonda con voci che arrivavano da varie parti del mondo – dall’Uganda, al Medio Oriente, all’Italia, agli Stati Uniti, alla Nuova Zelanda – e, se possiamo riassumere, da una parte oggi la grande sfida è ancora quella dei diritti umani, ma ancor più grande, ce lo ricordava l’amico degli Stati Uniti, è un’educazione alla pace e alla non-violenza contro gli armamenti in una società sempre più militarizzata oggi – e ce lo ricorda anche Papa Francesco, continuamente. E quindi oggi, 70 anni dopo la Seconda Guerra mondiale, il tema delle armi, delle bombe, dei droni, dei sistemi per uccidere è ancora una grande sfida, assieme – ce lo ricordavano soprattutto quelli del Sud del mondo – al grande problema ambientale. Una sfida nuova, se vogliamo anche sulla scia di quello che ci ricorderà Papa Francesco con l’Enciclica. Queste due sfide sicuramente sono importanti in una luce che è specifica di Pax Christi che è la non-violenza.

D. – Concretamente, Pax Christi di fronte a un pianeta che conta centinaia di conflitti, grandi e piccoli, come si muove? Qual è il suo messaggio?

R. – Fare della non-violenza non una passività, o dire: i non-violenti sono quelli in finestra, che guardano o che agitano le margherite davanti a questo mondo così sofferente. No. La non-violenza è darsi impegno, coraggio, martirio anche – abbiamo ricordato oggi quante zone in cui le persone vengono uccise… Quindi, è esporsi in prima persona, mai accettando la logica della guerra, della violenza o della distruzione dell’ambiente. Non sappiamo come valutare, ma certo ci ha molto colpito e anche fatto soffrire che proprio all’attuale segretario internazionale di Pax Christi, Enriquez – originario del Salvador ma vive a Bruxelles, dove c’è la segreteria di Pax Christi – a lui, in questi giorni, è stato impedito di venire a Betlemme perché persona non gradita. Questo ci dice che forse, quando si lavora con fermezza, con non-violenza, forse si va a scalfire chi è al potere e ci fa pensare quante altre sofferenze le persone del posto vivono e quante volte vengono limitate nei loro diritti.

D. – Da molti anni lei vive e condivide l’esperienza di Pax Christi. Quale momento le ha, per così dire, cambiato il cuore?

R. – Sicuramente, Pax Christi mi ha dato forza, speranza anche per le grandi testimonianze: da don Tonino Bello a tanti altri testimoni che ho incontrato. E mi ha messo in contatto con tante situazioni dove la guerra e la sofferenza non hanno però spento la gioia, la speranza e l’umanità.